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Normativa Appalti di Opere  

DETERMINAZIONE N. 42/2000 del 30 agosto 2000

 

“Cause di esclusione dalle gare in carenza della prevista normativa regolamentare.
(Problemi di diritto transitorio)”

 

Con l’emanazione del decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, è stata data attuazione alla previsione di cui all’art. 3 delle legge-quadro sui lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109 ed è stato in tal modo completato quasi integralmente il nuovo assetto normativo del settore. Nella pubblicazione del decreto, sono state, tra le altre, espunte le norme di cui agli articoli 52 e 75, relative alle cause di esclusione dalle procedure di affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria e degli appalti e delle concessioni per l’esecuzione di lavori pubblici. Tali due articoli non erano stati ammessi al visto della Corte dei conti ed il Governo aveva ritenuto di non dover richiedere la registrazione con riserva al fine di non ritardare ulteriormente l’entrata in vigore della complessiva disciplina di completamento della legge-quadro in materia di lavori pubblici.

 Allo scopo, tuttavia, di voler completare il quadro normativo che si andava a delineare, relativamente alle cause di esclusione indicate, dalla data (del 28 luglio 2000) di entrata in vigore del richiamato regolamento generale n. 554/1999- stante la prevista abrogazione, a decorrere dalla data stessa, dell’art. 18 del decreto legislativo 19 dicembre 1991, n. 406 ed il rinvio fatto, per la disciplina delle esclusioni dalle gare di appalto di lavori, al regolamento generale dall’art. 28 di quello in materia di qualificazione (n.34/2000)-il Governo provvedeva, nella medesima data del 28 luglio 2000, ad approvare uno schema di decreto del Presidente della Repubblica recante modifiche al regolamento generale indicato e contenente le norme non ammesse al visto della Corte dei conti che, per contro, si riteneva di formulare in maniera da assicurare la stretta attuazione dei rilievi contenuti nella delibera 40/2000 della sezione di controllo della Corte medesima. Non risulta, tuttavia, concluso il relativo procedimento; sicché, dal 28 luglio 2000 ad oggi, per le ragioni in precedenza esposte, non esiste una rinnovata disciplina positiva in merito alla esclusione dalle gare di affidamento dei servizi di architettura e di ingegneria  e dalle gare di appalto e concessione per l’esecuzione di lavori pubblici e comunque la situazione di carenza normativa potrà perdurare per tutto il periodo successivo al 28 luglio e sino alla data di entrata in vigore delle anzidette norme di modifica al regolamento generale.

In un siffatto contesto, allo scopo di evitare che, per la presumibile incertezza delle stazioni appaltanti sui comportamenti da tenere con riferimento alle gare già bandite ed a quelle da bandire, derivi un prevedibile rallentamento nello svolgimento delle procedure, e stante il ruolo che le è riconosciuto nel sistema della disciplina dei lavori pubblici, soccorrono le seguenti considerazioni.

E’ riconosciuto in dottrina ed è consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui, nelle procedure per l’aggiudicazione dei contratti della pubblica amministrazione, è il bando di gara che costituisce la legge del procedimento e ad esso devono attenersi, non soltanto i partecipanti al concorso, ma anche la stessa amministrazione procedente. Più propriamente, è stato precisato che, in un pubblico appalto, l’amministrazione appaltante deve applicare le norme del bando che, insieme alla lettera d’invito, costituiscono la lex specialis del procedimento concorsuale, la quale non è derogabile neppure se alcune delle sue regole risultassero non più conformi allo ius superveniens, con il solo ovvio limite del ricorso ai poteri di autotutela. (Cons. St. sez. V, 11 maggio 1998, n. 1403). E nella stessa prospettiva è stato ritenuto anche che ove si abbia in corso di gara l’abrogazione di una norma cui il bando di gara aveva fatto riferimento, si deve continuare ad applicare questa norma che è divenuta regola del bando mai disapplicabile, come detto, in quanto il rinvio operato che ha carattere materiale e non dinamico la rende indifferente alle mutazioni successive (Cons. St., sez. V, 3 settembre 1998, n. 591).
Deriva da tali premesse l’irrilevanza, per le gare già bandite e per le quali si applica il d. l.vo n. 406 del 1991 o altre norme, del “vuoto normativo” che si è prodotto con l’abrogazione delle norme predette e   per la mancata emanazione di quella nuova regolamentazione già contenuta negli artt. 52 e 75 del regolamento generale di attuazione della legge-quadro non ammessi a registrazione dalla Corte dei conti. In tali gare le stazioni appaltanti continueranno ad applicare le regole del bando ancorché le stesse siano state redatte, per l’aspetto in esame, sulla base di norme non più operanti e da altre non sostituite.

Con riferimento, poi, alle gare da bandire, va considerato ulteriormente che la disciplina positiva riguardante l’individuazione delle cause di esclusione dalle gare di appalto attiene all’attuazione di un principio di carattere generale, insito nell’ordinamento, secondo il quale la contrattazione dei negozi con l’amministrazione pubblica può essere consentita soltanto a coloro che siano in possesso di una ritenuta, adeguata idoneità morale, oltre che tecnica. Il legislatore ha preferito, poi, disciplinare direttamente ed in linea generale la materia, sottraendola, pertanto, alla discrezionalità della singola stazione appaltante, per l’esigenza di assicurare l’uniformità dei comportamenti dei pubblici poteri e per prevenire possibili applicazioni distorsive ed elusive della finalità sottesa all’indicato principio. La concreta individuazione, poi,delle ipotesi che  precludono la partecipazione alle gare medesime è stata quasi sempre fatta in maniera meramente ricognitiva di situazioni di incompatibilità conseguenti a comportamenti dai quali appare obiettivamente ragionevole presumere la mancanza dell’affidabilità necessaria alla stipulazione di un contratto di appalto. Ne costituisce dimostrazione il fatto che vi è un costante riferimento, nella normativa nazionale e comunitaria, alle condizioni soggettive dell’imprenditore (dissesto economico, condanne per reati di particolare gravità, violazioni di fondamentali doveri civici, inadempienze in precedenti contratti) che lo fanno oggettivamente presumere non idoneo in quanto inaffidabile in ordine alla instaurazione di un rapporto che presuppone, invece, quale requisito indefettibile quello della moralità.

Da tali premesse consegue che, venuta meno la disciplina normativa generale della materia, si intende ripristinato nella sua piena espansione il potere discrezionale generale delle stazioni appaltanti che potranno, quindi, in sede di redazione dei bandi di gara, provvedere autonomamente alla individuazione dei requisiti morali minimali occorrenti ai concorrenti.

Risulta coerente, peraltro, che tale individuazione avvenga tenendo conto innanzitutto di quanto stabilito dalla normativa comunitaria di riferimento, sia stata o meno la stessa recepita sul piano interno.

Detta normativa ancorché direttamente applicabile, con prevalenza su quella nazionale con essa contrastante, soltanto agli appalti di importo superiore alla soglia comunitaria, viene comunque in rilievo dovendo ad essa farsi riferimento per l’integrazione dei vuoti dell’ordinamento, quanto alla disciplina delle fattispecie similari, in una prospettiva di interpretazione estensiva o analogica delle norme allo stesso inerenti.

D’altra parte, non sembra contestabile che le scelte operate dal legislatore comunitario, con riferimento alla individuazione delle ipotesi che precludono la partecipazione alle gare di appalto, se non altro perché vincolanti per ordinamenti a caratterizzazione differenziata,siano da ritenere condivisibili in quanto ragionevolmente relativa a situazioni che implichino effettiva inidoneità. Il fatto, quindi, che una stazione appaltante, in mancanza di regole interne che dispongono diversamente, si sia ad esse attenuta nella formulazione di un bando per una gara di appalto mette la stessa a riparo da eventuali censure di strumentalizzazione ovvero di uso distorto del potere di esclusione discrezionalmente ad essa riconosciuto.

D’altra parte va anche considerato che i principi contenuti nella normativa comunitaria suddetta sono stati tutti recepiti nella disposizione contenuta nell’art. 17 del DPR 34/2000 che si riferisce ai requisiti per la qualificazione delle imprese da parte delle SOA e che viene richiamato in via transitoria (art. 29 co. 3) anche per l’ammissione alle gare di appalto fino all’entrata in vigore del regolamento generale che ad oggi come detto è carente sotto questo aspetto. Per i bandi di gara da bandire, pertanto, le stazioni appaltanti possono anche far riferimento nel bando, con un sistema di rinvio materiale, alle disposizioni contenute in detta norma, con ciò intendendo recepirne le cause di esclusione dalle gare di appalto in clausola del bando.

Per quanto riguarda i servizi di ingegneria ed architettura valgono analoghe considerazioni solo che il riferimento che occorre fare nei bandi, anche di importo inferiore a 200.000 Euro, è alla specifica normativa contenuta nel d. l.vo 157/95 e s.m. che contiene precetto (art. 12) analogo di esclusione al quale può farsi riferimento con rinvio recettizio di carattere materiale.

 

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