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   Autorità Vigilanza Lavori Pubblici  

Autorita' per la vigilanza sui lavori pubblici

Determinazione n. 5 del 26 febbraio 2003

Ulteriori chiarimenti sulla determinazione n. 11 del 5 giugno 2002, avente ad oggetto i “Criteri che le SOA debbono seguire in ordine al rilascio di attestazione di qualificazione di una impresa cessionaria di una azienda o di un ramo di azienda”, in  materia di qualificazione di un’impresa cessionaria di ramo d’azienda di un’impresa fallita e in materia di imprese neocostituite.

Considerato in fatto

Sono pervenute all’Autorità ulteriori richieste di chiarimenti in ordine alla determinazione del 5 giugno 2002, n. 11, avente ad oggetto i “Criteri che le SOA debbono seguire in ordine al rilascio di attestazione di qualificazione di una impresa cessionaria di una azienda o di un ramo di azienda” ed in materia di qualificazione di un’impresa cessionaria di ramo d’azienda di un’impresa fallita.

In particolare, le richieste di chiarimenti riguardano:

a)      i criteri e le modalità cui devono attenersi le SOA nell’attività di rilascio delle attestazioni di qualificazione di imprese che, per dimostrare il possesso dei requisiti di ordine speciale richiesti dal d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34, utilizzano i corrispondenti requisiti maturati in capo all’impresa dalla quale proviene (in virtù di un’operazione di cessione, conferimento, fusione, scissione, affitto, ecc.) l’azienda o il ramo di cui le prime hanno acquisito la giuridica disponibilità; attualmente, le SOA procedono alternativamente:

1)          a rilasciare una nuova attestazione (se la cessionaria o incorporante non era ancora attestata) o rinnovo (se la cessionaria o incorporante era già attestata)

2)          ad integrare il contratto originario stipulato dalla cessionaria o incorporante, facendo quindi applicazione degli indirizzi formulati dall’Autorità nel punto 7 della determinazione 8 febbraio 2001, n. 6 (integrazione delle attestazioni già rilasciate, mediante l’inserimento in esse di qualificazioni in nuove categorie), ovvero nel punto 6 del comunicato alle SOA del 12 aprile 2001, n. 5 (integrazione delle attestazioni già rilasciate con modifica delle sole classifiche delle qualificazioni).

In particolare, per l’ipotesi sub 1) viene segnalato il fatto che l’arco temporale di riferimento (quinquennio) per la quantificazione dei requisiti di ordine speciali maturati in capo all’azienda, o al ramo d’azienda, oggetto di trasferimento, viene dalle SOA fatto retroattivamente decorrere dalla stipula del nuovo contratto di attestazione con l’impresa cessionaria, mentre nell’ipotesi sub 2) lo stesso quinquennio viene fatto decorrere dalla stipula dell’integrazione all’originario contratto di attestazione con la medesima impresa cessionaria;

b)     l’ammissibilità o meno della qualificazione di un’impresa sulla base di requisiti da quest’ultima acquistati con una cessione d’azienda, nel caso in cui l’impresa cedente era iscritta all’Albo nazionale Costruttori e sia fallita, ovvero sulla base di un affitto di azienda di una impresa fallita;

c)      se possano o meno qualificarsi  nuove imprese (che intendano attestarsi sulla base di requisiti posseduti da imprese acquisite), costituite in forma di soggetti tenuti alla dimostrazione del requisito di cui all’art. 18, comma 2, lettera c), del d.P.R. n. 34/2000, qualora non abbiano ancora provveduto al deposito del primo bilancio, in base alla dimostrazione implicita del capitale netto positivo, essendo il capitale di una neonata società certamente integro;

d)     l’ammissibilità o meno della qualificazione di un’impresa mediante acquisto di ramo d’azienda da un’impresa (non fallita ma) cui sia stata annullata l’attestazione SOA durante l’anno di interdizione dalle gare e dalla stipula di un nuovo contratto di attestazione;

e)      l’ammissibilità o meno della qualificazione di un’impresa mediante acquisto di ramo d’azienda da un’impresa fallita e munita di attestazione SOA nel caso in cui la cedente – fallita non abbia effettuato le comunicazioni all’Osservatorio previste dall’art. 27, comma 3, del d.P.R. n.34/2000.

Le questioni sono state sottoposte all’esame della Commissione consultiva – prevista dall’art.8, comma 3, della legge 11 febbraio 1994, n.109 e s.m. e dall’art. 5 del d.P.R. n.34/2000 – del cui parere deve avvalersi l’Autorità per la definizione delle procedure e dei criteri che devono essere seguiti dai soggetti autorizzati nella loro attività di qualificazione. La Commissione ha espresso il proprio avviso nella seduta del 13 dicembre 2002.

L’Autorità, tenuto conto delle indicazioni e considerazioni del suddetto parere, definisce nella presenta determinazione i criteri a cui devono attenersi le SOA nell’esercizio della loro attività di qualificazione.

Considerato in diritto

Per quanto riguarda la problematica di cui alla lettera a) dei considerato in fatto essa va risolta osservando che il quinquennio di riferimento non può coincidere con quello valutato ai fini della qualificazione dell’impresa cedente, dato che ai sensi dell’art. 15, comma 9, del d.P.R. n. 34/2000 è data facoltà all’impresa cessionaria di utilizzare i requisiti di qualificazione dell’impresa cedente per conseguire la propria qualificazione. Non si può, quindi, parlare in alcun modo parlare di “trasferimento” della qualificazione dalla seconda alla prima, bensì di semplice facoltà, da parte dell’impresa cessionaria (o conferitaria, locataria, oggetto di fusione o di scissione, ecc.), di avvalersi, per la propria qualificazione, dei requisiti maturati in capo all’impresa cedente (o conferente, locatrice, ecc) l’azienda. Da ciò consegue che i criteri e le procedure che le SOA debbono seguire per il rilascio dell’attestato di qualificazione a quest’ultima non possono che essere quelli ricordati sub 1) e sub 2) della lettera a) dei considerato in fatto, che costituiscono corretta applicazione delle indicazioni contenute nella determinazione del 5 giugno 2002, n. 11.

Quanto alle conseguenze che l’utilizzo di tali criteri potrebbe comportare nei confronti dei contratti di appalto in corso di esecuzione ed originariamente affidati all’impresa cedente (o conferente, locatrice, ecc), ci si limita ad osservare che lo stesso art. 35 della legge 11 febbraio 1994 n. 109 e s. m. che disciplina gli effetti su tali contratti delle “cessioni di aziende e (de)gli atti di trasformazione, fusione e scissione relativi ad imprese che eseguono opere pubbliche”, subordina espressamente detti effetti all’avvenuta documentazione del “possesso dei requisiti previsti dagli articoli 8 e 9 della presente legge”, prefigurando quindi, nel caso di mancata documentazione, totale o parziale di tali requisiti, il mancato subentro del nuovo soggetto nella titolarità del contratto d’appalto.

Per quanto riguarda la problematica di cui alla lettera b) dei considerato in fatto va osservato che la fattispecie trae origine è dalla sopravvenuta perdita – da parte dell’impresa titolare dell’azienda della cui cessione trattasi – del requisito d’ordine generale previsto dall’art. 17, comma 1, lett. g), del d.P.R. n. 34/2000, che richiede per la qualificazione la ”insussistenza dello stato di fallimento, di liquidazione o di cessazione dell’attività”. E’ innegabile, infatti, che l’impresa dichiarata fallita, in quanto versante in “stato d’insolvenza”, manifestatosi “con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni” (art. 5 R.D. 16 marzo 1942, n. 267), potrebbe aver compromesso la consistenza aziendale (intesa come “complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”, ex art. 2555 c.c.) che ne aveva determinato l’originaria qualificazione ad operare nel mercato dei lavori pubblici.

Per la soluzione del problema può rilevarsi che nella previgente disciplina dell’ANC, la norma di riferimento era costituita dall’art. 25 del d.m. 9 marzo 1989, n. 172 mentre norma di riferimento dell’attuale disciplina è l’art. 15, comma 9, del d.P.R. n.34/2000 la quale statuisce che “in caso di fusione o di altra operazione che comporti il trasferimento di azienda o di un suo ramo, il nuovo soggetto può avvalersi per la qualificazione dei requisiti posseduti dalle imprese che ad esso hanno dato origine”.

I tratti caratterizzanti della disciplina testé riportata possono essere così identificati:

1)                 il presupposto perché possa trovare applicazione la norma è rappresentato dal compimento di una “operazione che comporti il trasferimento di azienda”; in tal modo viene dato particolare rilievo agli aspetti strutturali dell’impresa, come suggerito già in passato da attenta dottrina, distinguendo tra aspetto oggettivo (azienda o suo ramo) e aspetto soggettivo (capacità ad eseguire lavori pubblici)” ;

2)                 il “trasferimento”, oltre che avere per oggetto l’intero “complesso aziendale” (come testualmente recitava l’art. 25 del d.m. 172/89), può riguardare anche soltanto “un suo ramo”;

3)                 l’operazione comportante il trasferimento di azienda o di un suo ramo non determina, a sua volta, il “trasferimento” della qualificazione di cui è titolare l’impresa cedente all’impresa cessionaria, quanto, piuttosto, la facoltà (e mai l’obbligo) per quest’ultima di “avvalersi per la qualificazione (ovviamente la sua) dei requisiti (e non, quindi, della qualificazione intesa come risultato valutativo dei requisiti) posseduti dalle imprese che ad esso (cioè all’impresa cessionaria) hanno dato origine”.

Risulta evidente che i “requisiti” di cui parla l’art. 15, comma 9, del d.P.R. n. 34/2000 non possono che essere quelli di “ordine speciale” (adeguata idoneità tecnica ed organizzativa, adeguata dotazione di attrezzature e adeguato organico medio annuo), poi elencati nel successivo art. 18, mentre quelli di “ordine generale”, identificati nell’art. 17 del d.P.R. n. 34/2000, debbono necessariamente appartenere “a titolo originario” all’impresa cessionaria che intende qualificarsi, seppur avvalendosi, ove lo ritenga utile, anche del meccanismo disciplinato dalla norma prima citata.

Ciò significa, ad esempio, che – mentre il requisito di “ordine speciale” costituito dall’esecuzione di lavori in categoria (art. 18, comma 5, lett. b) e del lavoro “di punta” in categoria (art. 18, comma 5, lett. c) può essere soddisfatto facendo valere quanto a tale titolo maturato dall’impresa cedente l’azienda (od il ramo), pur in assenza di analogo requisito in capo all’impresa cessionaria – il requisito di “ordine generale” dell’assenza di sentenze definitive di condanna passate in giudicato (art. 17, comma 1, lett. c) non può dirsi soddisfatto riscontrando tale assenza nei confronti del titolare, del legale rappresentante e del direttore tecnico dell’impresa cedente, ma esclusivamente in capo alle corrispondenti figure dell’impresa cessionaria.

Per quanto, nello specifico, attiene la ”insussistenza dello stato di fallimento, di liquidazione o di cessazione di attività” (art. 17, comma 1, lett. g) e la “inesistenza di procedure di fallimento, di concordato preventivo, di amministrazione controllata e di amministrazione straordinaria” (art. 17, comma 1, lett. h), trattandosi di requisiti di “ordine generale”, in presenza di operazioni comportanti il trasferimento di azienda o di un suo ramo non dovranno essere accertati dalla SOA in capo all’impresa originaria titolare dell’azienda (o del ramo) oggetto del trasferimento, ma esclusivamente in capo all’impresa avente causa.

Quello che in primo luogo, nella realtà, le SOA devono verificare, nel contesto della disciplina delineata dall’art. 15, comma 9, del d:P.R. n. 34/2000, è che la fattispecie che ne dovrebbe costituire, nel caso concreto, il presupposto applicativo – e, cioè “la fusione o altra operazione che comporti il trasferimento di azienda o di un suo ramo” – abbia realmente le caratteristiche essenziali perché si possa correttamente parlare di cessione (o altra operazione di trasferimento) di azienda o di un suo ramo e non si risolva, al contrario, in un trasferimento di singoli elementi, materiali ed immateriali, considerati non quale “complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa”.

Naturalmente, l’indagine circa l’effettiva presenza, nel caso concreto, del presupposto costituito dal trasferimento di un’azienda o di un relativo ramo assume particolare importanza e delicatezza laddove, com’è in ordine alle fattispecie oggetto del quesito, l’azienda o il suo ramo provengano da impresa dichiarata fallita, e ciò per le ragioni già evidenziate in premessa, quando si è accennato alle possibili ripercussioni negative dello stato d’insolvenza (art. 5 R.D. 267/1942) sulla consistenza del complesso di beni organizzati dall’imprenditore fallito.

A tal riguardo, non si può non rilevare come la previgente disciplina del c.d. “recupero dell’iscrizione all’ANC” fornisse più adeguata attenzione al profilo “critico” ora accennato.

L’art. 25 del d.m. n. 172/89, infatti, subordinava espressamente il recupero totale o parziale dell’iscrizione all’ANC posseduta da un’impresa in favore di altra impresa – nelle ipotesi indicate dalla norma – “sempre che … il complesso aziendale cui le iscrizioni si riferiscono mantenga al momento del trasferimento le capacità operative finanziarie e tecniche e che detti requisiti vengano acquisiti dall’impresa richiedente”. Quale logica conseguenza, il comma 2 del medesimo articolo imponeva, oltre alla “revisione” dell’iscrizione all’ANC di cui era titolare l’impresa dante causa, anche l’accertamento delle seguenti condizioni:

1)          capacità finanziaria dell’impresa che trasferisce l’iscrizione e dell’impresa che acquisisce l’iscrizione

2)          trasferimento dei mezzi d’opera

3)          trasferimento del personale dipendente

4)          trasferimento di eventuali contratti in corso”.

Indubbiamente, nel vigente ordinamento della qualificazione manca una disposizione corrispondente a quella testé riportata.

Ciò nonostante, onde evitare che l’art. 15, comma 9, del d.P.R. n. 34/2000 divenga un “grimaldello” per forzare il sistema di qualificazione, consentendo a chiunque di avvalersi di requisiti di idoneità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa non più correlati al complesso aziendale che li ha originati, si rende necessario subordinare l’utilizzo, da parte dell’impresa avente causa, dei requisiti maturati in capo all’impresa dante causa, al previo accertamento che quel complesso aziendale sia rimasto sostanzialmente integro, nonostante la dichiarazione di fallimento pronunciata nei riguardi dell’impresa dante causa, e sia realmente divenuto oggetto dell’operazione di trasferimento da quest’ultima all’impresa avente causa.

A tal fine, quindi, la SOA cui si rivolge l’impresa avente causa – intenzionata ad avvalersi dei requisiti di ordine speciale posseduti dall’impresa da cui proviene l’azienda o il ramo oggetto di trasferimento – dovrà porre particolare attenzione nel riscontrare che oggetto dell’operazione di trasferimento – cui l’impresa richiedente l’attestazione correla la dimostrazione di tutti o parte dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi necessari per ottenere la qualificazione – sia effettivamente un complesso organizzato di beni definibile quale azienda o ramo autonomo di questa, analizzando accuratamente i contenuti dell’atto di cessione, conferimento, affitto, fusione, scorporo, ecc. e dei relativi allegati (perizia di stima asseverata, ex art. 2343 c.c., nel caso di conferimento; situazione patrimoniale, ex artt. 2501-ter e 2504-novies c.c., nei casi di fusione e di scorporo).

Nel caso, poi, in cui l’azienda o il suo ramo provengano da impresa dichiarata fallita o ammessa a concordato preventivo, la relativa consistenza potrà desumersi dall’inventario, redatto su autorizzazione del giudice delegato dal curatore, con l’eventuale assistenza di uno stimatore, per l’ipotesi di fallimento (art. 87 del R.D. 267/1942) e dal commissario giudiziale, sempre su autorizzazione del giudice delegato e con l’eventuale assistenza di uno stimatore, per l’ipotesi di concordato preventivo (art. 172 della stessa legge fallimentare). Al fine della verifica della consistenza avranno valore:

1)          l’effettiva correlazione esistente tra l’azienda o ramo di azienda oggetto di trasferimento e le categorie di qualificazione richieste in attestazione sulla base del citato trasferimento;

2)          l’effettiva integrità del complesso aziendale cui sono correlati i requisiti di qualificazione, confrontando ciò che emerge dal contratto di cessione, conferimento, affitto, fusione, scorporo, ecc., e dei relativi allegati menzionati alla precedente lett. a), con quanto risultava, in capo all’impresa cedente, conferente, locatrice, ecc. rispetto ai requisiti di seguito elencati:

a)      adeguata dotazione di attrezzature tecniche, avuto riguardo alle indicazioni identificative di cui parla l’art. 18, comma 8, 1° periodo, del d.P.R. n. 34/2000;

b)     organico, esaminando la dichiarazione della relativa consistenza, distinta nelle varie qualifiche, corredata dai modelli riepilogativi INPS, INAIL e Cassa Edile, di cui parla l’art. 18, comma 11;

c)      direzione tecnica, avendo riguardo alla continuità tra quella operante nell’impresa dante causa e quella indicata in fase di richiesta di attestazione dall’impresa avente causa, a meno che quest’ultima non ne proponga una alternativa, comunque adeguata in base ai parametri definiti all’art. 26, comma 2.

Gli accertamenti ed i riscontri indicati negli ultimi due paragrafi potrebbero essere riconsiderati, de iure condendo, in relazione alla previsione riportata nel vigente art. 8, comma 4, lett. g), della legge 109/94, nel testo modificato dall’art. 7 della legge 1° agosto 2002, n. 166, laddove la durata quinquennale (e non più triennale) dell’efficacia della qualificazione è subordinata alla verifica entro il terzo anno del “mantenimento dei requisiti di ordine generale nonché dei requisiti di capacità strutturale da indicare nel regolamento”.

Per quanto riguarda il quesito di cui alla lettera c) dei considerato in fatto va osservato che l’Autorità si è già espressa al riguardo nel punto I) dei considerato in diritto della determinazione 6 novembre 2002, n. 29.

In quella sede, infatti, l’Autorità ha affermato che “i nuovi soggetti che non sono tenuti all’obbligo della redazione del bilancio, e, pertanto non sono tenuti al soddisfacimento del requisito di cui all’art. 18, comma 2, lett. c), possono qualificarsi avvalendosi della documentazione attestante i requisiti posseduti dalle imprese acquisite, mentre i neonati soggetti che, invece, sono assoggettati alla dimostrazione del requisito di cui all’art. 18, comma 2, lett. c), possono qualificarsi solo successivamente all’approvazione del primo bilancio, avvalendosi, eventualmente, anche dei requisiti posseduti dalle imprese acquisite”.

Il requisito individuato dall’art. 18, comma 2, lett. c), del d.P.R. n.34/2000 (capitale (rectius: patrimonio) netto positivo, costituito dal totale della lettera A) del passivo di cui all’art. 2424 c.c.) assolve all’esigenza di acclarare l’integrità del patrimonio a fronte di un esercizio dell’attività d’impresa protrattosi nel tempo.

Tale accertamento nel caso di società che abbia esplicato ed esplichi attività di impresa nel settore dei lavori pubblici (o anche nel settore privato) non può che seguire alla redazione ed approvazione del bilancio. È questa la fattispecie presa in esame nel punto I della determinazione sopra citata.

Senonchè è stata prospettata una differente e ammissibile ipotesi di società di nuova costituzione che non abbia ancora esplicato e non esplichi attività di impresa nel senso anzidetto. Si tratta di una ipotesi non presa in esame dal legislatore e per la quale può considerarsi che, nel caso in cui il soggetto tenuto alla redazione ed al deposito del bilancio sia di nuova costituzione, e subordini la sua operatività al conseguimento dell’attestazione di qualificazione, il rilascio di questa non può essere impedito dalla mancata ufficializzazione di un dato di bilancio (il patrimonio netto) che, in mancanza di attività incidenti sulla sua consistenza, trova un equivalente nel capitale che ha consentito la costituzione della società.

Resta così assorbito ogni altro e può darsi risposta positiva al quesito nei sensi indicati.

Per quanto riguarda il quesito di cui alla lettera d) dei considerato in fatto va osservato che evidenti ragioni di garanzia della effettività della sanzione costituita dall’annullamento dell’attestazione SOA, cui la determinazione 19/2002 correla altresì “il divieto per l’impresa, titolare dell’attestazione annullata, di stipulare un nuovo contratto di attestazione prima del decorrere di un anno” dalla data del provvedimento dell’Autorità, impongono di estendere il divieto anche alle imprese che divenissero cessionarie, conferitarie, locatarie, ecc., di azienda o di ramo proveniente dall’impresa direttamente colpita dall’annullamento dell’attestazione.

Tale estensione del divieto opera, ovviamente, nel senso di impedire che l’impresa avente causa si qualifichi, in tutto o in parte, utilizzando requisiti di ordine speciale posseduti originariamente dall’impresa dante causa.

Il medesimo divieto, invece, non opera qualora la qualificazione dell’impresa avente causa si fondi esclusivamente sui requisiti originariamente maturati in capo a quest’ultima, senza alcun apporto, quindi, da parte dell’impresa direttamente colpita dal provvedimento di annullamento dell’attestazione.

Per quanto riguarda il quesito di cui alla lettera e) dei considerato in fatto va osservato che è incontestabile che la sopravvenienza di una pronuncia dichiarativa dello stato fallimentare riguardante un’impresa già attestata determini – in capo a quest’ultima, ovvero al relativo curatore fallimentare – l’obbligo di comunicare detto evento all’Osservatorio dei lavori pubblici (ex art. 27, comma 3, d.P.R. 34/2000), trattandosi di variazione relativa al requisito di ordine generale definito all’art. 17, lett. g), del medesimo d.P.R. n. 34/2000.

L’inottemperanza a tale obbligo può comportare, secondo quanto indicato nella determinazione 16 gennaio 2002, n. 1, l’adozione “di provvedimenti sanzionatori dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici con annotazione nel Casellario informatico”.

Sempre nella richiamata determinazione si afferma che “i ritardi nelle comunicazioni o le mancate comunicazioni … avranno rilevanza, ai sensi dell’art. 75, comma 1, lett. h), del DPR 554/1999 e successive modificazioni, quali cause di esclusione dalla partecipazione alla procedura di affidamento degli appalti e delle concessioni”.

Si rileva che le conseguenze negative connesse ai ritardi ed alle omesse comunicazioni al Casellario sono delineate in termini di causa di esclusione dalle singole gare e non quali presupposto per un autonomo provvedimento di annullamento dell’attestazione SOA.

Ciò significa che non sembra corretto assimilare la fattispecie ora in esame (omessa segnalazione al casellario del sopravvenuto fallimento di un’impresa attestata, con successiva cessione della relativa azienda ad altra impresa che se ne avvalga per comprovare i requisiti di qualificazione) a quella, ben più grave, di annullamento dell’attestazione SOA dell’impresa dante causa.

A diversa conclusione potrebbe giungersi solo laddove, al mero comportamento omissivo riguardante l’obbligo di comunicazione all’Osservatorio della sentenza dichiarativa di fallimento, si sia accompagnato il comportamento attivo e fraudolento costituito dalla partecipazione a gare d’appalto successivamente alla sentenza in parola, con dolosa omissione di tale circostanza alle Stazioni committenti, destinatarie di dichiarazioni false, rese in fase di ammissione alle singole procedure concorsuali, recanti l’indicazione dell’assenza di cause di esclusione dalle gare (ex art. 75, comma 1, lett. a), del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, sia lo stato di fallimento, sia la pendenza di procedure per la relativa dichiarazione, sono individuate quali cause ostative).

In presenza di una situazione come quella ora descritta, appare ragionevole “sterilizzare”, ai fini dell’eventuale utilizzo quale fonte di requisiti di qualificazione, l’azienda (o il ramo) esercitato imprenditorialmente da chi si sia reso colpevole di condotta fraudolenta, cosi da garantire l’”effettività” della sanzione (l’esclusione per un anno dalla partecipazione alle gare).

Per le suesposte considerazioni, l’Autorità è dell’avviso:

1)          che è ammissibile, alle condizioni ampliamente illustrate nei considerato in diritto:

a)     la qualificazione di un’impresa mediante acquisto di ramo d’azienda da un’impresa fallita ed iscritta all’Albo Nazionale Costruttori, avvenuta dopo la soppressione dell’Albo medesimo (circostanza, quest’ultima, del tutto irrilevante per le ragioni in precedenza evidenziate);

b)    la qualificazione di un’impresa mediante affitto di azienda da un’impresa fallita, ovviamente in questo caso assicurando altresì il rispetto delle condizioni fissate dalla determinazione 8 febbraio 2001, n. 6;

2)          che non è ammissibile la qualificazione di un’impresa mediante acquisto di ramo d’azienda da un’impresa (non fallita ma) cui sia stata annullata l’attestazione SOA, durante l’anno di interdizione dalle gare e dalla stipula di un nuovo contratto di attestazione;

3)          che è ammissibile la qualificazione di un’impresa mediante acquisto di ramo d’azienda da un’impresa fallita e munita di attestazione SOA anche nel caso in cui la cedente-fallita non abbia effettuato all’Osservatorio dei lavori pubblici le comunicazioni previste dall’art. 27, comma 3, del d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34, fermo restando le conseguenze sul piano delle sanzioni per le omesse comunicazioni;

4)          che il requisito dell’art. 18, comma 2, lett. c), del d.P.R. n. 34/2000 – nel caso che l’impresa richiedente la qualificazione sia una società neo-costituita e non disponga, pertanto, di un bilancio approvato dal quale desumere il patrimonio netto positivo – può essere dimostrato attraverso il corrispondente suo capitale, sempre che risulti attestata e confermata l’assenza di ogni attività che abbia potuto incidere sull’entità del capitale.

 

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