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   Autorità Vigilanza Lavori Pubblici  

Autorita' per la vigilanza sui lavori pubblici

Determinazione del 22 giugno 2005 n. 6

“Aggiudicazione di appalti di lavori pubblici di importo inferiore alla soglia comunitaria: possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di valutare l’anomalia dell’offerta e di utilizzare il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa”.

IL CONSIGLIO

 Considerato in fatto

          Con specifico riguardo agli appalti di lavori pubblici di importo inferiore alla soglia comunitaria l’ENASARCO ha ritenuto opportuno sottoporre all’attenzione di questa Autorità due delicate questioni interpretative, entrambe concernenti l’art. 21 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e s.m., al fine di ottenere, ai sensi e per gli effetti dell’art. 4 della medesima legge quadro, un autorevole indirizzo interpretativo atto ad orientare il comportamento delle amministrazioni aggiudicatrici.

 

         La prima questione riguarda la corretta interpretazione del comma 1bis del citato art. 21 e concerne propriamente la possibilità di affermare, in caso di appalti sotto soglia, la sussistenza del potere delle amministrazioni aggiudicatrici di optare per la valutazione nel merito della congruità delle offerte c.d. anomale, rinunciando all’esclusione automatica delle medesime.

 

         La seconda questione concerne la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di utilizzare, sempre per gli appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria, il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa nell’ipotesi di appalto di sola esecuzione e, quindi, al di fuori delle ipotesi di appalto concorso e concessione di lavori pubblici, per le quali l’utilizzo di detto criterio è già consentito dalle disposizioni normative vigenti.

 Ritenuto in diritto

 Al fine di stabilire se sussiste un potere discrezionale delle amministrazioni aggiudicatrici di optare, in caso di appalti di lavori pubblici di importo inferiore alla soglia comunitaria, per la valutazione della congruità delle offerte anomale, rinunciando all’esclusione automatica delle medesime, è necessario analizzare quanto disposto dall’art. 21, comma 1bis, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e s.m., che disciplina i meccanismi di esclusione di dette offerte, caratterizzate da un ribasso troppo elevato perché le stesse possano ritenersi attendibili.

         La menzionata disposizione distingue tra appalti di lavori pubblici di importo pari o superiore alla soglia comunitaria (controvalore in euro di 5.000.000 di DSP) e quelli di importo inferiore a detta soglia. Con riferimento ai primi, il primo periodo del citato art. 21, comma 1bis, stabilisce che, ai fini dell’aggiudicazione, “l’amministrazione interessata deve valutare l’anomalia delle offerte di cui all’art. 30 della direttiva 93/37/CEE del Consiglio del 14 giugno 1993…”. Relativamente ai secondi, invece, il penultimo periodo del medesimo articolo afferma che “…l’amministrazione interessata procede all’esclusione automatica dalla gara…” delle offerte anomale.

Si tratta di due meccanismi autonomi e distinti, che riguardano ipotesi nettamente differenziate: il primo, di natura discrezionale, rimette all’amministrazione aggiudicatrice il compito di individuare ed escludere l’offerta sospetta di anomalia solo previa verifica della stessa in contraddittorio con gli offerenti; l’altro, c.d. automatico, lascia al legislatore il compito di fissare i criteri in base ai quali stabilire se una data offerta è anomala, con la conseguente esclusione automatica della stessa senza contraddittorio.

         La ratio della richiamata disciplina è propriamente quella di escludere dalla gara offerte ritenute fuori mercato, le quali, per il fatto di non assicurare all’imprenditore un profitto (o un adeguato profitto) conducono inevitabilmente ad una esecuzione non corretta da parte dell’imprenditore, esponendo l’amministrazione al rischio di irregolarità o ritardi nell’esecuzione di lavori e ad un contenzioso ampio e costoso.

 

Ciò premesso, si rileva che la giurisprudenza amministrativa (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 11 ottobre 2004, n. 2190) ha recentemente risolto in termini positivi la questione de qua, evidenziando come l’esegesi testuale del citato comma 1bis dell’art. 21 metta in luce la differenza tra i due richiamati periodi della disposizione in esame. Nel primo periodo l’obbligo positivo per la stazione appaltante di valutare l’anomalia delle offerte è espressamente indicato attraverso l’uso del verbo “deve”, che esprime inequivocabilmente la cogenza e l’inderogabilità della disposizione per gli appalti sopra soglia. Nel penultimo periodo della medesima norma, invece, tale espressione modale non è stata reiterata e, secondo il Giudice amministrativo, non si può ritenere che il legislatore, disponendo che per gli appalti sotto soglia si procede all’esclusione automatica, abbia inteso vietare in maniera assoluta il diverso criterio della verifica dell’anomalia, che sfuggirebbe, quindi, alla discrezionalità dell’Amministrazione. Al contrario, dalla lettera della norma si ritiene potersi evincere che l’Amministrazione non ha il dovere di esclusione automatica, potendo, così, nella sua discrezionalità, individuare una diversa modalità di tutela nei confronti delle offerte anomale, come può essere, appunto, la verifica dell’anomalia.

         Le argomentazioni di cui sopra, sono, peraltro, confortate da due pronunce emesse della Corte Costituzionale sulla legittimità del meccanismo di esclusione automatica delle offerte anomale per gli appalti sotto soglia.

Ci si riferisce propriamente alla sentenza n. 40 del 5 marzo 1998 e all’ordinanza n. 74 del 18 marzo 1999, che si pronunciano, peraltro, sul testo della disposizione de qua vigente al momento dell’emanazione dell’ordinanza di rimessione alla Corte (art. 21, comma 1 bis, della legge n. 109/1994 aggiunto con l’art. 7 del decreto legge 3 aprile 1995, n. 101, convertito, con modificazioni, nella legge 2 giugno 1995, n. 216), il quale prevedeva tale disciplina come del tutto temporanea e precisamente operante fino al 1 gennaio 1997.

In tali pronunce la Corte ha, in primo luogo, precisato che l’esigenza di garantire la serietà dell’offerta, in relazione al ribasso proposto, per gli appalti di lavori pubblici di importo inferiore alla soglia comunitaria può essere perseguita anche con modalità diverse dalla valutazione di congruità dell’offerta anomala. In secondo luogo, ha ritenuto il meccanismo dell’esclusione automatica delle offerte anomale, previsto per detti appalti, conforme alle norme costituzionali, in quanto regola temporanea e riguardante esclusivamente appalti di minore importo, per i quali una più complessa procedura di analisi delle offerte è considerata particolarmente onerosa rispetto al beneficio che deriverebbe dal minor prezzo eventualmente ottenibile e tale da rendere meno tempestiva l’aggiudicazione dei lavori.

Dalle argomentazioni della Corte si evince che, in quanto posta come norma semplificatrice delle attività delle amministrazioni aggiudicatrici, l’esclusione automatica delle offerte anomale non costituisce principio fondamentale e inderogabile né la Corte ha  affermato, neanche implicitamente, che l’eventuale introduzione del criterio della verifica si pone in contrasto con i principi costituzionali. Al contrario, dal tenore delle pronunce rese traspare soltanto che tale esclusione automatica è opportuna per ragioni di interesse pubblico; ragioni che possono ritenersi recessive quando venga in rilievo un interesse pubblico diverso e superiore.

Nella linea interpretativa richiamata si colloca, infine, anche la recente sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3188 del 6 aprile 2004, che ha ribadito il principio, pacifico, secondo cui l’esclusione delle offerte anomale per gli appalti sottosoglia è costituzionale, mentre per quelli sopra soglia occorre la previa verifica in ragione dei superiori principi comunitari che governano la materia, senza tuttavia affermare che l’eventuale introduzione, da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, del criterio della verifica anche per gli appalti sottosoglia si pone in contrasto con principi costituzionali o in conflitto con principi inderogabili.

 

         Atteso che, alla luce del richiamato orientamento della giurisprudenza costituzionale ed amministrativa, l’esclusione automatica delle offerte anomale negli appalti sotto soglia non costituisce un principio fondamentale ed inderogabile, ma solo una norma di semplificazione delle attività delle amministrazioni aggiudicatrici, si ritiene che si possa conclusivamente affermare che rientra nella discrezionalità delle amministrazioni stesse individuare nei bandi di gara, sulla base di un’autonoma valutazione delle ragioni di interesse pubblico, una diversa modalità di tutela nei confronti delle offerte anomale, come quella rappresentata dal procedimento di verifica in contraddittorio di dette offerte.

 Più complessa e delicata della precedente appare la seconda questione posta all’attenzione di questa Autorità.

Si tratta di stabilire se, ai fini dell’aggiudicazione degli appalti mediante pubblico incanto o licitazione privata, le amministrazioni aggiudicatrici sono libere di utilizzare il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa come criterio alternativo a quello del massimo ribasso, non solo per gli appalti di importo superiore alla soglia comunitaria con prevalenza della componente tecnologica o con particolare rilevanza delle possibili soluzioni progettuali - come espressamente consentito dall’art. 21, comma 1ter, della legge n. 109/1994 e s.m. -, ma anche per gli appalti sotto soglia, per i quali la normativa nazionale (art. 21, comma 1, della legge n. 109/1994 e s.m.) prevede, invece, l’utilizzo del solo criterio di aggiudicazione fondato sulla valutazione dell’elemento prezzo.

 

         Nel formulare un indirizzo interpretativo sulla problematica de qua sembra opportuno ricostruire preliminarmente il quadro normativo di riferimento, comunitario e nazionale.

         Si rileva, al riguardo, che l’art 30, n. 1, lettere a) e b), della direttiva del Consiglio n. 93/37/CEE del 14 giugno 1993, dispone, testualmente, che i criteri sui quali l’amministrazione aggiudicatrice si fonda per l’aggiudicazione dell’appalto sono: “o unicamente il prezzo più basso; o, quando l’aggiudicazione si fa a favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa, diversi criteri variabili secondo l’appalto: ad esempio, il prezzo, il termine di esecuzione, il costo di utilizzazione, la redditività, il valore tecnico”.

Al fine di assicurare la concorrenza, la normativa comunitaria, nel presupposto implicito che gli unici criteri di selezione delle offerte idonei a garantirla siano quelli in precedenza indicati, prevede, dunque, la possibilità di scegliere tra l’uno e l’altro e stabilisce, nel caso in cui si dovesse ricorrere al sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa, di tenere presente “diversi criteri secondo l’appalto”, quali quelli esemplificativamente elencati.

         Di contro l’art. 21, comma 1, della legge n. 109/1994 e s.m. prevede che “l’aggiudicazione degli appalti mediante pubblico incanto o licitazione privata è effettuata con il criterio del prezzo più basso, inferiore a quello posto a base di gara”. Quanto al criterio di aggiudicazione alternativo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il suo utilizzo era consentito, nella versione originaria della legge quadro, esclusivamente nell’ipotesi di appalto-concorso e di affidamento della concessione di costruzione e gestione dei lavori pubblici (art. 20, commi 2 e 4, della legge n. 109/1994 e s.m.). Successivamente, con le modifiche introdotte dalla legge 1 agosto 2002, n. 166, la possibilità di ricorrere a tale ultimo criterio è stata ampliata attraverso l’inserimento dell’art. 21, comma 1ter, secondo cui “l’aggiudicazione degli appalti mediante pubblico incanto o licitazione privata può essere effettuata con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa…nel caso di appalti di importo superiore alla soglia comunitaria in cui, per la prevalenza della componente tecnologica o per la particolare rilevanza tecnica delle possibili soluzioni progettuali, si ritiene possibile che la progettazione possa essere utilmente migliorata con integrazioni tecniche proposte dall’appaltatore”.

         Tuttavia, restando la possibilità di utilizzare il suddetto criterio, in alternativa a quello del massimo ribasso, circoscritta nei limiti richiamati dal citato comma 1ter dell’art. 21, la modifica normativa de qua non ha eliminato la scelta di fondo del legislatore nazionale di privilegiare il criterio del prezzo più basso, individuandolo come quello cui ricorrere in via ordinaria, ed ha quindi lasciato aperta la questione della compatibilità con l’ordinamento comunitario di una disciplina nazionale che limita la discrezionalità delle singole amministrazioni aggiudicatrici fino al punto da impedire, in via generale ed astratta, la possibilità di ricorrere a uno dei due criteri che la richiamata disposizione comunitaria contempla.

 

         Sul possibile contrasto tra normativa nazionale e normativa comunitaria in tema di criteri di aggiudicazione dell’appalto, questa Autorità si è in passato pronunciata con la determinazione n. 53 del 7 dicembre 2000.

Al riguardo è stato evidenziato che la scelta contenuta nell’art. 21 della legge n. 109/1994 e s.m. di non consentire (a quel tempo in termini assoluti non essendo ancora intervenuta la modifica successivamente introdotta dalla legge n. 166/2002) di ricorrere al criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa nei pubblici incanti e nella licitazione privata si colloca “in una ritenuta - da parte del legislatore - prospettiva di maggior rigore…. Né può ritenersi che così disponendo la normativa interna si sia posta in contrasto con quella comunitaria con conseguente necessità di farne disapplicazione, dal momento che non determina una lesione del diritto comunitario la norma interna che, al fine di assicurare in modo più esteso la concorrenza, regolamenti un determinato istituto in maniera difforme da quanto previsto in sede comunitaria (Corte Cost., sentenza n. 482/1995)”.

 

         Recentemente, tuttavia, la questione è stata affrontata dalla Corte di Giustizia, che con propria sentenza del 7 ottobre 2004 (Corte di Giustizia, Sez. II, 7 ottobre 2004, C-247/02) ha ritenuto che “l’art. 30, n. 1. della direttiva deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale la quale, ai fini dell’aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici mediante procedure di gara aperte o ristrette, imponga, in termini generali ed astratti, alle amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere unicamente al criterio del prezzo più basso”. Ciò in quanto, secondo il Giudice comunitario, una siffatta normativa nazionale, se “non impedisce alle amministrazioni aggiudicatrici di procedere al raffronto tra le singole offerte e di individuare la migliore sulla base di un criterio oggettivo preventivamente fissato, ricompreso appunto tra quelli indicati all’art. 30, n. 1, della direttiva”, tuttavia, “priva le amministrazioni aggiudicatrici della possibilità di prendere in considerazione la natura e le caratteristiche peculiari di tali appalti, isolatamente considerati, scegliendo per ognuno di essi il criterio più idoneo a garantire la libera concorrenza e ad assicurare la selezione della migliore offerta”.

In sostanza, dunque, la libera scelta in merito ai criteri di aggiudicazione da utilizzare, che si intende salvaguardare a favore delle singole amministrazioni aggiudicatrici, viene giustificata dal Giudice comunitario alla luce della più efficace attuazione del principio della libera concorrenza, sancito dall’art. 81 del Trattato UE, che costituisce uno dei principi generali del diritto comunitario.

Poiché, come è noto, tali principi generali, per costante giurisprudenza della Corte di Giustizia ormai comunemente accettata, devono ritenersi applicabili anche agli appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria, dalle conclusioni del Giudice comunitario discende che, essendo applicazione di un principio generale dell’ordinamento comunitario, la libertà di scelta in merito al criterio di aggiudicazione da utilizzare spetti alle amministrazioni aggiudicatrici in tutte le ipotesi in cui le stesse lo riterranno opportuno; quindi, non solo nei casi espressamente previsti dal legislatore nazionale (appalto concorso, concessione di costruzione e gestione, appalti di importo superiore alla soglia comunitaria con prevalenza della componente tecnologica o con particolare rilevanza delle possibili soluzioni progettuali), ma per tutti gli appalti che ricadono nell’ambito di applicazione della direttiva (appalti sopra soglia) ed anche per gli appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria.

 Per tutte le suesposte considerazioni si è dell’avviso che:

 

-         per gli appalti di lavori pubblici di importo inferiore alla soglia comunitaria sussiste un potere discrezionale delle amministrazioni aggiudicatrici di procedere con la valutazione della congruità delle offerte anomale in contraddittorio in luogo dell’esclusione automatica delle medesime, non costituendo l’esclusione automatica un principio fondamentale ed inderogabile, ma solo una regola di semplificazione delle attività delle amministrazioni aggiudicatrici;

 

-         negli appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria, le amministrazioni aggiudicatrici possono ricorrere al criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa in luogo del prezzo più basso, in tutte le ipotesi in cui le stesse lo ritengano opportuno per ragioni di pubblico interesse.
 

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