Info Appalti - Gli Appalti in un Click - Normativa appalti - gare - appalti - news appalti - consulenza appalti
   Giurisprudenza  

Consiglio di Stato - Sezione V - Decisione 5 aprile 2001 n. 2093
Turbativa d'asta - Appalti pubblici - Capacità di partecipazione dei concorrenti - Pendenza di procedimenti penali - Causa di esclusione

FATTO

      1. Con deliberazione commissariale n. 188, del 18 agosto 1993, la Comunità montana “Versante dello Stretto”, con sede in Reggio Calabria, indiceva gara di licitazione privata per l’appalto dei lavori di realizzazione di un “Centro museale e culturale” in S. Alessio in Aspromonte, per un importo a base d’asta di £ 498.500.000*.

      Come da verbale di gara, approvato con deliberazione commissariale n.204 del 4 ottobre 1993, l’appalto veniva aggiudicato all’A.T.I. appellante.

      Ma con deliberazione n. 72 dell’11 maggio 1994 il Commissario della Comunità montana intimata, acquisita l’attestazione dalla competente Procura della Repubblica, da cui risultava che Pizzimenti Luigi, titolare dell’impresa omonima, era stato rinviato a giudizio per i reati di cui agli artt. 81, 110, 353  (concorso in turbata libertà degli incanti), dichiarava decaduta l’ATI reclamante, revocando l’atto deliberativo.

      In pari data, con successiva deliberazione n. 73, riapprovando il verbale di gara, il medesimo organo dichiarava aggiudicataria definitiva l’impresa Fazzari, che aveva presentato la seconda offerta valida, con un ribasso del 19.85 %.

      2. Avverso le suddette deliberazioni commissariali nn. 72 e 73, l’impresa appellante, in qualità di capogruppo della relativa ATI, insorgeva dinanzi al TAR competente.

      Con la sentenza impugnata, in epigrafe indicata, il gravame veniva rigettato, rilevando che all’epoca dell’adozione dei provvedimenti impugnati la semplice pendenza di un procedimento penale per un delitto ascrivibile alla tipologia indicata (concorso in turbata libertà degli incanti, ma l’istante in verità era stato rinviato a giudizio anche per  truffa aggravata ai danni della P.A.), facendo venire meno tra l’altro i requisiti di ordine morale per l’iscrizione all’Albo Nazionale Costruttori, comportava necessariamente – senza alcuna valutazione discrezionale dell’interesse pubblico concreto all’adozione della misura – l’esclusione del costruttore dalle procedure in questione.

      3. L’Impresa Pizzimenti ha interposto ricorso in appello avverso la predetta pronunzia del giudice di prime cure, deducendo in particolare l’erronea interpretazione ed applicazione, vista anche la normativa successiva, dell’art. 8, comma 7, l.109/94, in tema di esclusione dalla partecipazione alle gare (disciplina peraltro ritenuta inapplicabile ai sensi della normativa transitoria introdotta dll’art. 38 della l.109/94), nonché la carenza di presupposti e di motivazione circa la revoca dell’aggiudicazione, anche con riferimento all’interesse pubblico, e delle garanzie procedimentali ex l.241/90; da ultimo, in via subordinata, l’incostituzionalità del predetto art. 8, comma 7, ove ritenuto applicabile e interpretato nel senso avversato, per violazione del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost.

      4. L’appellata Comunità montana si è costituita in giudizio per resistere all’appello.

      Con ordinanza della Sezione n. 1631 del 29 agosto 1997 è stata rigettata l’istanza di sospensione dell’efficacia della sentenza di primo grado.

      Alla pubblica udienza del 27 febbraio 2001 il ricorso in appello è stato introitato per la decisione.

DIRITTO

      1. L’appello non merita accoglimento.

      Con i provvedimenti censurati in primo grado l’ATI appellante è stata dichiarata decaduta dall’aggiudicazione dell’appalto inerente alla realizzazione di un centro museale, sociale e culturale in S. Alessio di Aspromonte, in quanto rinviata a giudizio, tra l’altro, per il reato di concorso in turbativa d’asta; conseguentemente, con separato provvedimento, è stata dichiarata aggiudicataria l’impresa titolare della seconda offerta valida.

      Con la sentenza impugnata i primi giudici, nel rigettare il ricorso dell’Impresa Pizzimenti, hanno rilevato che all’epoca dell’adozione dei provvedimenti impugnati la semplice pendenza di un procedimento penale per un delitto ascrivibile alla tipologia  indicata, facendo venire meno tra l’altro i requisiti di ordine morale per l’iscrizione all’Albo Nazionale Costruttori, non poteva non comportare – senza alcuna valutazione discrezionale dell’interesse pubblico concreto all’adozione della misura – l’esclusione del costruttore dalle procedure in questione.

      2. Il thema decidendum verte dunque essenzialmente sulla portata applicativa dell’art. 8, comma 7, della l.109/94, nella versione originaria, vigente, ad avviso dell’Amministrazione e del TAR, alla data di adozione del provvedimento impugnato.

      3. A tale ultimo riguardo non può essere revocata in dubbio la ritenuta applicabilità del predetto disposto normativo, atteso che, in ogni caso, la censura dedotta dall’appellante con il secondo motivo – circa l’inapplicabilità della l.109/94 alla luce della norma transitoria prevista dall’art. 38 della medesima legge -  è stata introdotta per la prima volta, nella sua specificità, solo in sede di appello e pertanto non può sfuggire ad una valutazione di inammissibilità (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, V, 12 marzo 1992, n. 195, 2 marzo 1999, n. 222; VI, 12 giugno 1996, n. 819; C.G.A.R.S. 26 febbraio 1998, n. 87).

      4. Tanto premesso, sgombrato il campo dal secondo mezzo di censura, si può evidenziare che l’art. 8, comma 7, nel testo originario, prevedeva, per quanto qui di interesse (lett. b)), che il concorrente venisse escluso dalle procedure di affidamento dei lavori pubblici qualora si fosse trovato nelle condizioni di cui agli artt. 20, comma 1 n. 2, e 21, comma 1 n. 2, della l. 57/62, come successivamente modificata.

      L’art. 20, comma 1, n.2, della l.57/62 (in tema di sospensione dell’iscrizione all’A.N.C.), disponeva che l’efficacia dell’iscrizione nell’Albo potesse essere sospesa quando erano in corso a carico del costruttore procedimenti penali relativi ai casi contemplati nel successivo art. 21, comma 1, n. 2, il quale (in tema di cancellazione dall’Albo), a sua volta, prevedeva che fossero cancellati dall’Albo i costruttori che subivano condanna per delitto che per la sua natura o la sua gravità facesse venir meno i requisiti di natura morale richiesti per la iscrizione all’Albo.

      Orbene il Tribunale di prima istanza ha ragione nell’affermare che la predetta disposizione della l.109/94 aveva un senso se interpretata come ipotesi di incapacità di partecipare alle procedure di affidamento di lavori pubblici ulteriore rispetto a quelle costituite dalla sospensione o dalla cancellazione dall’Albo Nazionale Costruttori.

      Doveva, ai fini dell’esclusione dalla procedura, considerarsi sufficiente la pendenza di un procedimento penale (bastando dunque l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ma qui l’appellante era stata già rinviato a giudizio) per un delitto che per sua natura o per sua gravità faceva venir meno i requisiti di natura morale di iscrizione all’albo (come certamente nel caso dei reati di  turbata libertà degli incanti e truffa aggravata ai danni dell’Amministrazione comunale, relativi perdipiù a precedenti aggiudicazioni disposte dal medesimo Comune; reati per i quali, in esito al procedimento penale in questione, il titolare dell’impresa appellante è stato peraltro condannato dal Pretore di Villa S. Giovanni, con sentenza n. 78/95 del 19 novembre 1995, alla pena di anni due di reclusione e £ 2.000.000* di multa, con la pena accessoria del divieto di contrattare con la P.A. per il periodo di anni due).

      A quel punto nessun rilievo poteva avere, alla stregua della normativa allora vigente, la circostanza che nessun provvedimento di sospensione o cancellazione dall’ANC era stato concretamente adottato e che anzi i relativi procedimenti non risultavano ancora avviati.

      La norma di legge, infatti, riteneva sufficiente, in tema di requisiti morali richiesti per l’affidamento di lavori pubblici, il trovarsi astrattamente, da parte del partecipante, nelle condizioni di cui agli artt. 20, comma 1, n. 2 e 21, comma 1, n. 2, della l.57/62, prescindendo dai provvedimenti presi e dalle procedure avviate dagli organi competenti circa la eventuale sospensione e cancellazione dall’Albo.

      Ritenuta l’applicabilità alla fattispecie della l.109/94 nella sua formulazione originaria – non contestata a tempo debito dall’attuale appellante - l’Amministrazione appaltante, a cui comunque non era legalmente impedita l’assunzione diretta di provvedimenti di esclusione dei concorrenti, ha dovuto trarre - seppur ex post, pronunciando la decadenza dall’aggiudicazione - le necessarie conseguenze dalla situazione di pendenza, a carico del titolare dell’impresa appellante, di un procedimento penale di sicura delicatezza ai fini della procedura di gara in argomento; il tutto, alla stregua degli angusti margini dell’interpretazione testuale, anche in mancanza di provvedimenti da parte dei competenti organi dell’ANC.

      E’ vero che la norma sopra descritta, immediatamente operante nell’ordinamento secondo la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 29 aprile 1994, assumeva connotati di problematicità, considerata anche la non perfetta conformità della stessa alle disposizioni e ai principi comunitari (improntati al criterio della esclusione facoltativa dalla partecipazione all’appalto e alla pronunciabilità della stessa nei confronti dell’imprenditore al cui carico sia stata pronunziata una condanna, con sentenza passata in giudicato, per reati che incidano sulla sua moralità professionale; in tema è doveroso il richiamo dell’art. 24, comma 1, della direttiva 93/37/CEE, che peraltro rimette correttamente all’Amministrazione appaltante ogni decisione in tema di esclusione, per carenza dei requisiti morali, dalla partecipazione alle procedure di affidamento di lavori pubblici) e non a caso ha avuto vita non facile e comunque breve.

      Già, infatti, con d.l. 30 luglio 1994, n. 478, oltre a reiterarsi la sospensione dell’efficacia della legge-quadro, disposta dal precedente d.l. 31 maggio 1994, n. 331, veniva da subito introdotta una nuova disciplina delle cause di esclusione dalle gare, richiamando direttamente le ipotesi previste dall’art.24 della direttva 93/37/CEE.

      Il successivo d.l. 30 novembre 1994, n. 559, reiterativo del d.l. 478, nel confermare il rinvio alle cause di esclusione di cui al predetto art. 24, disponeva anche l’esplicita abrogazione delle disposizioni della l.57/62 sulla sospensione e cancellazione dall’albo, peraltro già implicitamente ricavabile in virtù dell’art. 5, comma 3, del d.l. 478/94.

      L’approdo finale di questa evoluzione normativa è stato rappresentato, come è noto, dall’art. 4-ter del d.l. 101/95, convertito con modificazioni dalla l.216/95 (c.d. Merloni-bis), che, modificando l’art. 8, comma 7, in argomento, ha previsto che, fino al 31 dicembre 1999, il Comitato centrale dell’Albo potesse disporre la sospensione dalla partecipazione alle procedure di affidamento per un periodo da tre a sei mesi ed esclusivamente nelle ipotesi indicate dal citato art. 24 della direttiva 93/37, con abrogazione delle norme incompatibili relative alla sospensione e alla cancellazione dall’Albo di cui alla legge 57/62.

      Ma la normativa di successiva modificazione della l.109/94 non era applicabile al caso di specie, né può essere ora richiamata dall’appellante a sostegno, eventualmente anche solo interpretativo, delle proprie argomentazioni. La circostanza, anzi, che il legislatore ha dovuto porre rimedio fin da subito, in via di decretazione d’urgenza, ad alcune incongruenze proprie della normativa introdotta dalla legge-quadro nella formulazione originaria, non fa che corroborare l’interpretazione letterale della medesima adottata dai primi giudici.

      5. In più, occorre ribadire, l’appellante ha omesso di censurare efficacemente in primo grado la ritenuta applicabilità al caso di specie del disposto normativo del più volte richiamato art.8, comma 7, della l.109/94.

      6. Né la sola sopravvenienza di norme ritenute più favorevoli può dar di per sé origine a una rilevante disparità di trattamento tra partecipanti a diverse procedure di aggiudicazione, ovvero al vizio di costituzionalità per violazione del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost, dedotto dall’appellante, in via subordinata, con il quarto motivo di doglianza, atteso che, a tacer d’altro, non vengono ad essere trattate in maniera dissimile situazioni meritevoli di eguale trattamento in quanto collocate nello stesso ambito normativo-temporale.

      7. Quanto, infine, alle carenze motivazionali e delle garanzie procedimentali, riscontrate relativamente al provvedimento di decadenza in argomento ed esposte con il terzo mezzo di censura, l’esame può essere limitato alla carenza di motivazione sulle ragioni di interesse pubblico, concreto e specifico, che hanno determinato la gravata decadenza, trattandosi dell’unico profilo validamente introdotto in primo grado.

       Al riguardo è sufficiente ribadire che l’erronea ammissione in una gara d'appalto di un'impresa e la conseguente aggiudicazione alla stessa ben consentono l'esercizio del potere di autotutela con ricorso, quindi, a provvedimenti di ritiro, senza che a tal fine occorra una diffusa motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto (cfr. Cons. Stato, V, 13 maggio 1995, n.761). Cosicché il provvedimento di ritiro è sufficientemente motivato col richiamo all'esigenza di ripristinare la legalità violata, ancor più considerando gli stretti margini attribuiti dalla normativa allora vigente al potere discrezionale dell’Amministrazione appaltante.

      8. Alla stregua delle considerazioni sopra riportate, risultando, in effetti, il provvedimento di decadenza impugnato in primo grado immune dalle censure dedotte dall’appellante – sorte che investe, in via derivata, anche il successivo provvedimento di riaggiudicazione della gara - il ricorso in appello deve essere, in definitiva, rigettato, e per l’effetto deve essere confermata la sentenza appellata.

      Sussistono nondimeno, ad avviso del Collegio, i motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti costituite, relativamente al presente grado di giudizio.

P.Q.M.

      Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo respinge.

 

Studio NET - Info App@lti Tutto il materiale in questo sito è © 2001 Studio NET