- Al riguardo, l’ATI espone
che il ricorso di primo è stato notificato con la procedura
prevista dall’articolo 140 del codice di procedura civile, in
seguito al rifiuto di ricevere copia dell’atto opposto da tale D’Alfonso
Liberato, il quale non risulta dipendente della società mandataria
del raggruppamento, rinvenuto dall’ufficiale giudiziario
notificante in un luogo del tutto diverso da quello corrispondente
alla sede legale (ed effettiva) della società.
La controinteressata si è
costituita in giudizio con autonomo atto di intervento, avendo avuto
notizia dal Comune della pendenza del procedimento giurisdizionale. La
relativa eccezione di irritualità del ricorso, non esaminata dal
tribunale, che ha ritenuto di poter giudicare direttamente il merito
della controversia, viene correttamente riproposta con semplice
memoria non notificata, posto che, in mancanza di una esplicita
statuizione del primo giudice, non è necessaria la proposizione dell’appello
incidentale.
Al riguardo, è sufficiente
osservare che, secondo un consolidato indirizzo espresso dal giudice
civile, l'erronea notificazione della impugnazione a persona che non
risulti avere la rappresentanza processuale della parte, ne' sia sua
domiciliataria, comporta non la semplice nullita' di detta
notificazione, sanabile ex tunc dalla costituzione in giudizio
dell'intimato, bensi' l'inesistenza della impugnazione, in quanto
eseguita presso persona ed in luogo non aventi alcun riferimento con
il destinatario dell'atto, con conseguente inammissibilita' della
stessa, essendo preclusa ogni possibilita' di sanatoria mediante
rinnovazione (Cassazione civile, sez. II, 16 gennaio 1987 n. 286).
Nello stesso senso, la
Sezione ha chiarito che qualora la notificazione del ricorso
giurisdizionale venga effettuata presso la sede della persona
giuridica intimata, ma in mani di un soggetto non legittimato a
riceverla, si determina una radicale difformita' dal modello legale
che implica non la nullita', ma l'inesistenza della notificazione, per
cui l'avvenuta costituzione in giudizio di detta persona giuridica da'
luogo alla sanatoria art. 156 comma 3, c.p.c. (Consiglio Stato sez. V,
30 giugno 1997, n. 760).
- Il difetto della notifica
non può considerarsi superato per effetto dello spontaneo
intervento in giudizio della società controinteressata. Infatti, la
costituzione in giudizio del controinteressato ha effetto sanante di
eventuali vizi della notificazione, ma non anche della inesistenza
di questa, sicche' la declaratoria di inammissibilita' del ricorso
introduttivo va pronunciata anche se vi e' stato l'intervento in
giudizio del controinteressato cui esso doveva essere notificato
(Consiglio Stato sez.IV 10 settembre 1991 n. 710).
Si tratta di un indirizzo
ermeneutico del tutto pacifico nella giurisprudenza amministrativa,
secondo cui la costituzione spontanea della parte intimata, successiva
alla scadenza del termine utile per la notificazione, non fa venir
meno l'inammissibilita' del ricorso, operando la sanatoria prevista
dagli art. 164 ultimo comma c.p.c. e 17 ultimo comma r.d. 17 agosto
1907 n. 642 soltanto per i vizi dell'atto introduttivo del giudizio e
non per i casi di inesistenza di notificazione (T.A.R. Lazio sez. II,
26 novembre 1990 n. 2118).
- L’amministrazione comunale
deduce il difetto di interesse dell’appellante, in quanto la
richiesta di documentazione è stata effettuata, contestualmente,
alle due imprese collocate ai primi due posti della graduatoria: la
Co.M.I: non avrebbe interesse a fare valere una illegittimità
procedimentale coinvolgente anche la sua posizione.
Al riguardo, si deve rilevare
che l’eventuale accoglimento della censura determinerebbe non già l’obbligo
di rinnovare integralmente la procedura di gara, ma soltanto l’esclusione
delle imprese che hanno tardivamente prodotto la documentazione
richiesta. In tal modo, peraltro, la pronuncia di annullamento non
gioverebbe in alcun modo alla ricorrente, la quale resterebbe comunque
privata della possibilità di ottenre l’aggiudicazione del
contratto.
- Il gravame è comunque
infondato nel merito.
Sotto un primo profilo, l’appellante
deduce la violazione dell’articolo 10, comma 1-quater della legge n.
109/1994, in quanto l’amministrazione comunale avrebbe dapprima
disposto l’aggiudicazione definitiva dell’appalto e, solo
successivamente, richiesto alla prima ed alla seconda graduata i
documenti comprovanti il possesso dei requisiti dichiarati.
La disposizione richiamata
dall’appellante (introdotta dall'art. 3 della legge 18 novembre
1998, n. 415), stabilisce la seguente disciplina: "i soggetti di
cui all'articolo 2, comma 2, prima di procedere all'apertura delle
buste delle offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti
non inferiore al 10 per cento delle offerte presentate, arrotondato
all'unità superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare,
entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso
dei requisiti di capacità economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara,
presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera
di invito. Quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le
dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o
nell'offerta, i soggetti aggiudicatori procedono all'esclusione del
concorrente dalla gara, alla escussione della relativa cauzione
provvisoria e alla segnalazione del fatto all'Autorità per i
provvedimenti di cui all'articolo 4, comma 7, nonché per
l'applicazione delle misure sanzionatorie di cui all'articolo 8, comma
7. La suddetta richiesta è, altresì, inoltrata, entro dieci giorni
dalla conclusione delle operazioni di gara, anche all'aggiudicatario e
al concorrente che segue in graduatoria, qualora gli stessi non siano
compresi fra i concorrenti sorteggiati, e nel caso in cui essi non
forniscano la prova o non confermino le loro dichiarazioni si
applicano le suddette sanzioni e si procede alla determinazione della
nuova soglia di anomalia dell'offerta ed alla conseguente eventuale
nuova aggiudicazione".
- Contrariamente a quanto
sostenuto dall’appellante, la norma non presuppone affatto che la
richiesta e l’acquisizione dei documenti debbano precedere l’aggiudicazione
definitiva del contratto. Al contrario, la formulazione letterale
della disposizione induce a ritenere che l’attività di verifica
debba intervenire dopo la conclusione delle operazioni di gara, vale
a dire dopo l’adozione del definitivo provvedimento di
aggiudicazione.
Nello stesso senso si pone l’argomento
testuale secondo cui la richiesta dei documenti è rivolta all’aggiudicatario
(senza ulteriori specificazioni), ossia al diretto destinatario del
tipico atto di aggiudicazione, e non al soggetto primo classificato
della graduatoria.
- Si deve aggiungere, ancora,
che la disposizione non qualifica affatto il termine per la
richiesta dei documenti come perentorio o decadenziale: ne deriva
che l’eventuale ritardo non spiega alcuna influenza sulla
persistente validità ed efficacia delle operazioni poste in essere
dall’amministrazione.
- Infine, resta condivisibile
l’affermazione del tribunale, secondo il quale, anche ritenendo
che la richiesta della documentazione comprovante i requisiti
soggettivi dell’impresa dovrebbe intervenire, di regola, prima
della aggiudicazione definitiva, l’eventuale violazione della
regola, determinando soltanto una inversione delle fasi
procedimentali, non determina l’invalidità della gara, attesa l’inidoneità
alla lesione di interessi sostanziali al corretto svolgimento dell’iter
di selezione del contraente.
Non assume pregio l’obiezione
secondo cui, in tal modo, la valutazione dei documenti verrebbe
effettuata da un organo diverso da quello che ha condotto le
operazioni centrali di gara. A parte il rilievo che, in concreto,
nella presente vicenda, il dirigente responsabile del settore, autore
della verifica documentale, ha assunto anche le funzioni di presidente
del seggio di gara, la legge n. 109/1994 attribuisce il potere di
esame della documentazione all’amministrazione nel suo complesso,
senza conferire tale funzione, specificamente, all’organo competente
alla conduzione della gara.
- L’appellante sostiene,
poi, l’irregolarità e l’incompletezza dei documenti esibiti
dall’impresa aggiudicataria. Anche tale censura è infondata.
Con riguardo al requisito
della cifra di affari in lavori similari svolti nell’ultimo
quinquennio, per un importo pari ad almeno 1,5 volte l’importo a
base d’asta, risulta dimostrato che l’ATI aggiudicataria ha
tempestivamente prodotto le dichiarazioni annuali IVA, certamente
idonee a comprovare il volume dell’attività economica svolta, in
conformità alla previsione generale di cui all’articolo 4, comma 2,
lettera c) del D.M. n. 172/1989, non contraddetta dalla lex sepcialis
di gara.
Con riguardo, poi, ai
certificati dei casellari giudiziari degli amministratori e dei
direttori tecnici, la relativa documentazione è stata acquisita d’ufficio
dalla amministrazione, in quanto già presentata a corredo dell’offerta
relativa alla gara svoltasi in data 29 aprile 1999.
Nessun rilievo assume la
circostanza che uno dei certificati reca la data del 2 luglio 1999
(successiva a quella di espletamento della precedente gara), essendo
documentalmente dimostrato che tale atto è stato autonomamente e
ritualmente presentato dalla aggiudicataria.
L’appellante sostiene l’inidoneità
delle dichiarazioni sostitutive dei certificati attestanti l’assenza
di procedure fallimentari negli ultimi cinque anni, perché prive di
data.
Si tratta di una carenza
priva di rilievo ai fini della validità degli atti. Infatti, in linea
generale, la data non costituisce mai elemento essenziale dell’atto
giuridico (a carattere negoziale o dichiarativo). In caso di
incertezza sulla data del documento operano, in ogni caso, i criteri
indicati dall’articolo 2704 del codice civile. Ne deriva che la data
della dichiarazione coincide con quella di produzione del documento
alla amministrazione comunale. Infatti, in tale momento si è
verificato "un altro fatto che stabilisca in modo egualmente
certo l’anteriorità della formazione del documento".
- In definitiva, quindi,
l'appello deve essere rigettato.