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   Giurisprudenza  

Consiglio di Stato - Sezione V - Decisione 28 agosto 2001 n. 4526
Ricorsi
Appalti - Atti - impugnazione - Termine proposizione ricorso - Impugnazione Tardiva - Concessione errore scusabile - Presupposti - Omessa indicazione nell'atto dei termini di impugnazione - Insufficiente - Oggettiva incertezza nell'interpretazione della legge

FATTO

      1. Con bando di gara pubblicato sulla Gazzetta della Comunità Europea in data 11 gennaio 1998 la Provincia di Pordenone indiceva un pubblico incanto, con un importo a base d’asta di oltre 12 miliardi di lire, per l’affidamento dei lavori di costruzione di un viadotto sul torrente Cellina.

      Il criterio di aggiudicazione prescelto era il sistema del massimo ribasso, da applicarsi sia all’elenco prezzi per le opere a misura sia all’importo delle opere a corpo poste a base di gara, con valutazione delle offerte anomale ai sensi della  normativa allora vigente.

       L’avviso di gara, nel capo (n.13) dedicato ai requisiti richiesti ai partecipanti, prevedeva espressamente che l’offerta dovesse “essere corredata da giustificazioni relative alle seguenti voci di prezzo più significative concorrenti a formare un importo non inferiore  al 75 % di quello posto a base d’asta: tutte le opere con prezzo a corpo e la seguente voce di prezzo per opere a misura: pali trivellati di grande diametro”.

       Alla gara partecipavano, con offerte valide, n.11 ditte.

       All’apertura delle buste l’offerta più vantaggiosa risultava essere quella dell’Impresa Bonatti, attuale appellata, con un ribasso del 28,80% sull’importo a base d’asta.

       La soglia di anomalia veniva individuata nel 22,215%, cosicché le offerte sia della ditta Bonatti che dell’ATI appellante (- 22,80%), oltre che della società Romagnoli di Milano, venivano sottoposte a verifica.

       Dalla valutazione complessiva delle tre analisi giustificative delle offerte emergeva che la ditta Bonatti aveva presentato analisi dei prezzi con evidenti difformità in diminuzione rispetto a quelli previsti dalla tabella n.138 dell’Ufficio del Genio Civile di Pordenone e con riferimento ad una squadra tipo non adeguata alla difficoltà delle lavorazioni previste nel progetto dell’opera (mancando in particolare un capo squadra di IV livello).

       Ritenuti dunque non motivati ragionevolmente i prezzi offerti, la Commissione di gara escludeva le offerte presentate dalle imprese Bonatti e Romagnoli, aggiudicando invece l’appalto in questione all’ATI  appellante, che aveva presentato un’analisi giustificativa  puntuale e corretta, sia per i costi orari sia per la formazione  della squadra tipo, con la previsione di tutte le figure professionali da ritenersi indispensabili per questa specifica opera.

      2. Investito della controversia dalla ditta Bonatti, il TAR  Friuli V.G., disattesa l’eccezione di irricevibilità del gravame per tardività, e comunque ritenuta integrabile la fattispecie  dell’errore scusabile, riteneva nel merito fondata, e decisiva, la censura di tipo procedurale, visto che, contrariamente a quanto previsto dall’art.30 della direttiva 93/37 CEE, non erano state chieste specifiche giustificazioni ai fini della valutazione dell’anomalia dell’offerta, ma si era fatto riferimento alle giustificazioni dei prezzi presentate da tutte le ditte partecipanti all’atto dell’offerta.

      3. L’ATI ICOP-Vidoni ha, dunque, interposto l’appello in trattazione, e, oltre a eccepire diversi vizi di forma e nuovamente l’irricevibilità del ricorso di primo grado, ha nel merito contestato le argomentazioni e le conclusioni raggiunte dal Giudice di prime cure.

      4. La ditta appellata si è costituita in giudizio per resistere all’appello, mentre la Provincia di Pordenone si è costituita in questo giudizio per aderire all’appello dell’ATI appellante. In verità la medesima Amministrazione provinciale ha anche proposto separato ricorso (con il numero 6366/98) avverso la medesima sentenza, ma il gravame è stato cancellato dal ruolo.

      Con ordinanza della Sezione n. 1575 del 29 luglio 1998 è stata rigettata l’istanza di sospensione dell’efficacia della sentenza di primo grado.

       Alla pubblica udienza del  5 giugno 2001  il ricorso in appello è stato introitato per la decisione.

DIRITTO

      1. L’appello merita accoglimento, dovendo in effetti  dichiararsi irricevibile, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso proposto dinanzi al TAR Friuli dalla ditta appellata.

       Ad avviso del Tribunale, pur essendo intervenuta la notificazione del ricorso alla ditta controinteressata (attuale appellante) pacificamente oltre  i trenta giorni ricavabili dalla legge, il termine per proporre ricorso non andrebbe compreso tra i termini processuali dimidiati ai sensi dell’art.19, comma 3, del d.l. 67/97, convertito, con modificazioni, dalla l.135/97.

       Infatti, sempre secondo i primi Giudici, in una interpretazione letterale e logica (oltre che costituzionalmente corretta) della norma citata, i termini processuali ridotti sarebbero solo quelli interessanti la fase di merito del giudizio definibile immediatamente con sentenza stesa in forma abbreviata.

       L’oggettiva incertezza interpretativa e le oscillazioni giurisprudenziali sul punto renderebbero, inoltre, accettabile la richiesta di concessione dell’errore scusabile.

      2. Le esposte argomentazioni non possono essere condivise.

       La Sezione, al riguardo, intende fare propria la trama argomentativa caratterizzante la  recente pronunzia dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (Cons. Stato, A.P., 14 febbraio 2001, n. 1).

       La disciplina di cui all’art.19 del decreto legge 25 marzo 1997, n.67, convertito dalla legge 23 maggio 1997, n.135, che era  in vigore da oltre un anno all’epoca della proposizione del ricorso di primo grado, prevedendo il dimezzamento dei termini processuali non poteva non estendersi anche alla proposizione del ricorso. Tale conclusione ermeneutica viene ad essere  corroborata, e niente  affatto vulnerata, dalla circostanza che in sede di conversione in legge del decreto, a dirimere ogni residuo dubbio, sia stato aggiunto un significativo quanto inequivocabile “tutti”.

       L’introduzione del predetto aggettivo voleva evidentemente sancire in via legislativa quello che era però già ricavabile dalla lettera della legge, che non lasciava soverchi spazi a dubbi interpretativi.

       Come già evidenziato in altra occasione dalla Sezione il termine per l’impugnazione è il primo di quelli processuali. Trattasi di un termine che ha la sua ragion d’essere esclusivamente in relazione alla introduzione del processo. L’effetto che determina la mancata proposizione del ricorso giurisdizionale nel periodo fissato è quello dell’irricevibilità dell’impugnativa, perché la notifica del ricorso segna il momento in cui il privato manifesta la volontà di reagire nella sede giudiziaria all’atto che egli reputa illegittimo. E' vero che la notifica non è sufficiente, giacché è poi necessario che il ricorso, con la prova delle avvenute notifiche, venga depositato presso la segreteria dell'organo giurisdizionale; ma ciò non implica che gli adempimenti anzidetti (la notifica del ricorso prima ed il deposito poi) siano atti al di fuori del processo. Essi costituiscono momenti indefettibili per la costituzione del rapporto processuale. Sono compiuti con il ministero di un soggetto abilitato professionalmente a rappresentare e difendere il privato nel processo. Sono volti esclusivamente ad introdurre il giudizio, ed i termini che ne scandiscono il compimento sono senz’altro processuali perché nell’esistenza del processo trovano nel contempo il proprio fondamento e la propria ragione (cfr. Cons. Stato, V, 13 aprile 1999, n.182).

      Che poi tra  “tutti i termini processuali” debba essere fatto rientrare anche il termine per proporre ricorso è significativamente confermato anche dalla specifica norma sulla sospensione, nel periodo feriale, dei termini definiti processuali (art. 1 l. 742/69), relativamente alla quale mai si sono avanzati dubbi in merito all’applicabilità al termine di  proposizione del gravame.

       L’orientamento suddetto, presto consolidatosi nella giurisprudenza di questo Consiglio, non è stato sconfessato dalla Corte Costituzionale, la quale anzi, con la ben nota pronunzia n.427 del 1999, ha escluso recisamente la sussistenza dei prospettati dubbi di legittimità costituzionale, ritenendo sufficientemente giustificata la deroga al regime ordinario del processo, anche relativamente al dimezzamento  di tutti i termini processuali, in base alla diversità e peculiarità della materia.

       La circostanza poi che il legislatore, nell’introdurre con l. 205/2000 l’art.23-bis della l. 1034/71, in un ambito di materie ben più ampio ma comunque comprendente i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, abbia voluto espressamente prevedere, questa volta, che la dimidiazione dei termini non concerne la proposizione del ricorso, tenendo conto probabilmente del fatto che la riduzione di trenta giorni del termine per proporre ricorso determinava un vantaggio non particolarmente decisivo ai fini della ratio acceleratoria, a fronte di un pregiudizio ben più evidente recato alle ragioni della difesa, non cambia formalmente il quadro sopra delineato.

       Trattasi infatti, nel caso del citato art. 23-bis, di norma innovativa di carattere processuale, che pur essendo, come tutte le norme processuali, di immediata applicazione non può rivestire efficacia retroattiva, soggiacendo la validità degli atti processuali, in assenza di espresse disposizioni in senso contrario,  alla regola del tempus regit actum. Del resto il tenore della richiamata novella legislativa in realtà conferma che, in mancanza di previsione espressa di esclusione, il termine di notifica del ricorso fa parte a pieno titolo dei “termini processuali”.

       Il ricorso di primo grado risulta, dunque, tardivamente proposto, in quanto pacificamente notificato alla ditta controinteressata oltre il trentesimo giorno dalla conoscenza del provvedimento di aggiudicazione impugnato. 

      3. Né, ad avviso del Collegio, sussistono margini per la concessione dell’errore scusabile, e questo sia  dal punto di vista della mancata indicazione del termine per ricorrere, sia relativamente  alle difficoltà interpretative o alle incertezze degli indirizzi giurisprudenziali.

       E’ noto che gli arresti giurisprudenziali più recenti, comprensivamente della sopra citata  decisione dell’Adunanza Plenaria, hanno decisamente, e avvedutamente ad avviso del Collegio, rivisitato la tesi per cui la mancanza, nell’atto impugnato, delle indicazioni prescritte dall’art.3, comma 4, della l.241/90, comporterebbe, di per sé, la concessione del beneficio dell’errore scusabile.

       Tale tesi, nella sua assolutezza, si rivela non conciliabile con la rigorosa disciplina dettata, in materia di termini per la proposizione del ricorso, dalla normativa processuale di settore.

       Deve, infatti, affermarsi che le ipotesi in cui l’Amministrazione, venendo meno al dovere di cooperazione, ometta di indicare al privato i termini e l’Autorità cui ricorrere possono sì costituire presupposto per l’integrazione di un errore scusabile in sede processuale, a patto che, però, nei singoli casi risulti apprezzabile una oggettiva incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell’atto. Tale inadempimento formale si risolverebbe altrimenti in un’assoluzione indiscriminata dall’onere di ottemperare alle prescrizioni vincolanti delle leggi dello Stato, assistite dalla presunzione legale di conoscenza, posta questa a sua volta a fondamento dell’indefettibile principio dell’obbligo di osservanza dei precetti giuridici (Cons. Stato, A.P., 1/2001; cfr. anche VI, 24 ottobre 2000, n. 5714, nonché, da ultimo, IV, 12 marzo 2001, n.1407).

      Tanto premesso, nel caso che interessa, tenendo conto anche della data di proposizione del ricorso di primo grado, non si ravvisano quegli elementi oggettivi di incertezza che potevano giustificare la concessione dell’errore scusabile, considerato  anche che l’integrazione della formula legislativa, apportata in sede di conversione del decreto in argomento, non lasciava ulteriori spazi ad apprezzabili  margini di dubbio interpretativo, come la pressoché univoca giurisprudenza di questo Consiglio non ha mancato di rilevare, seppur pronunciandosi in epoca per lo più successiva alla proposizione del gravame di primo grado.

       Va, inoltre, rilevato che l’atteggiamento tenuto dalla ditta originaria  ricorrente, che ha evidentemente tentato di notificare il gravame di primo grado nel termine di trenta giorni desumibile dal citato art.19 anche nei confronti della controinteressata, oltre che dell’Amministrazione provinciale intimata - tentativo non andato a buon fine solo per l’erronea individuazione della sede legale della ditta attuale appellante – depone nel senso di un atteggiamento soggettivo di consapevolezza dell’applicazione del dimezzamento dei termini anche alla fase della  proposizione del ricorso.

      4. Alla stregua delle considerazioni sopra riportate l’appello merita accoglimento nei suddetti termini e pertanto, in riforma dell’appellata sentenza, il ricorso di primo grado deve essere dichiarato irricevibile per tardività della notifica nei confronti della ditta controinteressata, attuale appellante.

       Possono essere compensate le spese di lite, relativamente ad entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

      Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, dichiara irricevibile il ricorso di primo grado.

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