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   Giurisprudenza  

Consiglio di stato - Sezione V - Decisione n. 2258 del 18 aprile 2012
Mancata esclusione dalla procedura di gara dell’Ati aggiudicataria a causa dell’incompleta compilazione dell’elenco prezzi, secondo il modello allegato al disciplinare di gara, benché quest’ultimo, all’art. 5, ne imponesse la compilazione in ogni sua voce, con espressa comminatoria di esclusione...

FATTO

Con la sentenza appellata il Tar Lombardia – Milano ha respinto l’impugnativa proposta dalla società CMCE s.r.l., seconda classificata nella gara mediante procedura aperta indetta con bando inviato alla Gazzetta Ufficiale della CE in data 8/8/2005 per l’affidamento in appalto del servizio biennale di edizione, stampa, memorizzazione dati, assistenza editoriale e giornalistica e distribuzione della rivista “Lombardia Verde”, periodico mensile della Direzione Generale Agricoltura della Giunta regionale lombarda, nel quale si era classificata al primo posto l’Ati con capofila Editing s.r.l.

La ricorrente aveva chiesto l’annullamento degli atti impugnati e la reintegrazione in forma specifica attraverso l’aggiudicazione o, in subordine, il risarcimento dei danni.

Il Tar ha disatteso i due motivi di impugnativa, volti a censurare:

1) la mancata esclusione dalla procedura di gara dell’Ati aggiudicataria a causa dell’incompleta compilazione dell’elenco prezzi, secondo il modello allegato al disciplinare di gara, benché quest’ultimo, all’art. 5, ne imponesse la compilazione in ogni sua voce, con espressa comminatoria di esclusione;

2) l’attribuzione alla controinteressata di un punteggio di 14 punti, sui 20 disponibili, in relazione alla composizione del gruppo di lavoro, benché il web writer indicato difettasse di una esperienza quinquennale nella specifica attività, come invece richiesto dal capitolato speciale, cosicché nessun punto avrebbe in realtà potuto esserle riconosciuto.

Nell’appellare la decisione del Tar la CMCE ha riproposto le doglianze articolate in primo grado, nonché la domanda di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., quest’ultima articolata nella richiesta di ristoro:

a) del danno emergente, sub specie di costi sostenuti la partecipazione alla gara, quantificati in € 35.376,22;

b) del lucro cessante, quantificato forfetariamente, ai sensi dell’art. 345 l. 2248/1865, all. F, nel 10% dell’offerta presentata, e cioè € 99.939,28, o in subordine nel 5%.

Si è costituita in resistenza la sola Regione Lombardia, la quale insta per il rigetto dell’appello.

All’udienza del 20/3/2012 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’appello è fondato con riguardo alla assorbente censura di eccesso di potere per violazione della legge di gara, sub 2) del ricorso in primo grado, qui riproposta attraverso rituale mezzo di gravame avverso la contraria decisione del Tar.

In fatto è pacifico che:

- il capitolato speciale relativo ai servizi posti a gara prevedeva che questi avrebbero dovuto essere realizzati da un gruppo di lavoro, nella cui composizione era prevista, tra l’altro, la presenza di un web writer con “5 anni di esperienza nel settore e la presentazione dei lavori degli ultimi due anni” (art. 4);

- il web writer indicato dall’Ati poi risultata aggiudicataria era invece sprovvisto di tale specifico requisito (di tale circostanza dà atto la Commissione di gara nel verbale del 7/11/2005);

- ciò nonostante, alla predetta concorrente venivano attribuiti 14 punti su un massimo di 20 per il pertinente elemento dell’offerta e cioè: “caratteristiche e composizione qualitativa e quantitativa del gruppo di lavoro di cui all’art. 4 del capitolato speciale d’oneri”.

Il Tar ha reputato infondata la censura sul punto, sull’assunto che il requisito tecnico-professionale richiesto per la figura del web writer integrasse un parametro da apprezzare e ponderare necessariamente con riferimento al gruppo di lavoro nel suo complesso, negando alla relativa mancanza valenza preclusiva.

Come osserva tuttavia l’appellante, il ragionamento del Giudice di primo grado conduce ad una vanificazione del ridetto requisito.

La previsione del capitolato in questione è in effetti chiara, in particolare attraverso l’impiego dell’aggettivo “necessaria”, nell’imporre una qualificazione professionale minima per una figura di indubbio rilievo nell’economia complessiva del servizio e per l’intrinseca specificità dell’attività ad essa demandata. Oltre all’argomento letterale vi è dunque anche quello logico a suffragare la soluzione patrocinata dall’appellante circa la valenza di soglia minima del requisito professionale e della conseguente efficacia ostativa all’attribuzione di punti in mancanza dell’esperienza quinquennale espressamente richiesta al riguardo.

Ne consegue che la Commissione di gara ha illogicamente disatteso tale puntuale previsione della legge di gara, recuperando l’insuperabile carenza dell’offerta dell’Editing s.r.l. attraverso una non consentita valutazione complessiva della composizione del gruppo di lavoro da questa indicato nella propria offerta.

Come sopra accennato, l’accoglimento della censura in esame riveste rilievo assorbente, stante l’attribuzione di 14 punti per l’elemento in questione a fronte di poco più di 3 punti di scarto nella graduatoria definitiva tra la prima classificata e l’odierna appellante (rispettivamente: 82,38 contro 79).

L’appello va dunque accolto dovendo conseguentemente annullarsi gli atti impugnati in primo grado.

Deve invece essere respinta la domanda risarcitoria.

In primo luogo va esclusa la risarcibilità delle spese sostenute per la partecipazione alla gara.

Come ormai più volte statuito da questo Consiglio, al di fuori delle ipotesi di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione - ad esempio in presenza di una revoca della gara o di illegittima esclusione dalla stessa - nelle quali viene risarcito l’interesse c.d. negativo, la voce di costo in questione sarebbe comunque stata sostenuta dall’impresa anche in caso di aggiudicazione del servizio, per cui la stessa deve ritenersi incorporata nella differenza tra ricavi e costi all’esito del quale si ottiene utile ritraibile dal servizio medesimo (ex plurimis: sez. VI, 18/3/2011, n. 1681).

Il quale utile, in mancanza di ulteriori allegazioni da parte dell’odierna appellante, costituisce l’unica posta risarcitoria astrattamente configurabile nella presente fattispecie, venendo in essa in rilievo un danno da mancata aggiudicazione, rapportabile al c.d. interesse positivo, ovvero al risultato economico che l’impresa avrebbe realizzato grazie allo svolgimento del servizio, non conseguito a causa dell’illegittimità consumatasi in suo danno nella procedura di affidamento.

Nondimeno, non può fondatamente essere invocato a questo riguardo il criterio del 10% dell’offerta previsto dall’art. 345 l. 2248/1865, all. F.

Anche a questo riguardo il più recente indirizzo della giurisprudenza amministrativa, ormai consolidatosi, ha chiarito che il suddetto criterio di commisurazione, previsto per il diverso caso del recesso dal contratto da parte dell’amministrazione, stante il suo carattere forfettario e meramente presuntivo, risulta in generale sovrastimato rispetto alla realtà del mercato dei servizi aggiudicati dalle pubbliche amministrazioni, nei quali si attua un confronto competitivo tra più offerenti il quale inevitabilmente conduce ad una tendenziale riduzione dei margini di profitto. Secondo questo orientamento, quindi, dall’automatismo insito nell’applicazione del ridetto criterio deriverebbe uno sviamento della funzione “compensativa” del risarcimento per equivalente, cioè la reintegrazione della sfera giuridica del danneggiato, consentendo a questo una indebita locupletazione dal fatto illecito altrui (cfr. Sez. V, 4/3/2011, n. 1385).

Considerazioni analoghe possono essere svolte a proposito del criterio di quantificazione del 5%, proposto dall’appellante in via gradata.

Anche in questo caso si tratta di un parametro presuntivo medio che astrae completamente dalla specifica realtà aziendale e che risulta del tutto sfornito di prova.

Sul punto giova osservare che il suddetto criterio avrebbe potuto essere corroborato attraverso l’offerta di elementi di prova (essenzialmente ritraibili dall’argomentata ostensione dei bilanci riferiti agli anni corrispondenti alla durata del servizio oggetto di gara) dai quali ricavare la redditività media dell’attività oggetto di appalto o di attività analoghe per tipo di prestazioni, processi di produzione e andamento dei costi.

Ciò non è stato in alcun modo fatto, per cui, chiarita la valenza meramente presuntiva degli anzidetti criteri forfetari, e precisata l’assenza nel caso di specie di elementi di gravità e precisione ai sensi dell’art. 2729 c.c., appare palese il mancato assolvimento dell’onere probatorio imposto al deducente dal disposto dell’art. 2697 c.c., che secondo la pacifica giurisprudenza amministrativa è integralmente applicabile alla domanda risarcitoria azionata nel processo amministrativo, nell’ambito della quale la parte privata opera su un piano di perfetta parità con l’amministrazione (trattandosi, in tale fase, di fatti ed elementi, anche indiziari, ordinariamente nella disponibilità della parte che agisce), sicché non è giustificato l’impiego, da parte del giudice, dei poteri di supplenza alle attività probatorie della parte, tipici del modello acquisitivo del giudizio impugnatorio.

In ragione della reciproca soccombenza le spese del doppio grado di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti costituite in questo giudizio d’appello, mentre, per quanto concerne le appellate non costituite, la medesima statuizione va supportata avuto riguardo alla incolpevole posizione delle parti rispetto alle determinazioni assunte dalla stazione appaltante in sede di gara.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso ed i motivi aggiunti di primo grado, annullando gli atti impugnati.

Respinge la domanda di risarcimento danni.

 

Fonte: Consiglio di Stato - La Giustizia Amministrativa

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