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   Giurisprudenza  

Consiglio di stato - Sezione V - Sentenza n, 2821 del 10 gennaio 2013
Contratti della Pubblica Amministrazione -
Inapplicabilità dell’art. 35 D.Lgs. 163/2006 in caso di gare ex All. II B del Codice e insussistenza dell’obbligo dichiarativo ex art. 38 in capo ai procuratori speciali e sull’inammissibilità dell’integrazione successiva.

FATTO e DIRITTO

Il Comune di Oristano indiceva una procedura per l’affidamento dei servizi di aggregazione sociale ed educativi, in forma associata con i Comuni di San Vero Milis e Zeddiani, per il triennio dal 1°.1.2012 al 31.12.2014.

Alla procedura prendeva parte, tra gli altri, la Cooperativa Sociale Passaparola, gestore uscente della commessa, che all’esito impugnava dinanzi al T.A.R. per la Sardegna la determinazione della Stazione appaltante n. 1401 del 9.11.2011, con la quale erano stati approvati gli atti di gara ed affidato l’appalto al concorrente raggruppamento formato dal Consorzio Regionale Territoriale Network Etico, soc. coop. sociale consortile ONLUS, e dalla cooperativa Universiis.

La ricorrente formulava anche una domanda risarcitoria.

Si costituivano in giudizio in resistenza al gravame il Comune di Oristano ed il Consorzio aggiudicatario, che ne deducevano l’infondatezza.

A conclusione del giudizio il Tribunale adìto, con la sentenza n. 273/2012, respinti il secondo e terzo motivo dell’impugnazione, ne accoglieva il primo mezzo, imperniato sul dedotto inadempimento degli obblighi dichiarativi previsti dall’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 rispetto alla posizione di due procuratrici della cooperativa Universiis del raggruppamento aggiudicatario, e per tale ragione annullava l’aggiudicazione.

Da qui l’appello alla Sezione dell’aggiudicataria contro tale decisione, della quale veniva contestato il fondamento.

Si costituiva in giudizio anche in questo grado il Comune di Oristano, che chiedeva l’accoglimento dell’appello, illustrando la fondatezza delle sue ragioni e delle critiche con esso rivolte alla sentenza.

La cooperativa appellata, oltre a resistere all’appello della concorrente, spiegava a sua volta appello incidentale avverso i capi della pronuncia del Tribunale reiettivi di alcuni dei suoi motivi di ricorso, e riproponeva anche il mezzo, di valenza subordinata, rimasto assorbito in primo grado.

Le tesi ed argomentazioni delle parti venivano indi sviluppate con successive memorie e scritti di replica.

La Sezione, con ordinanza n. 2178 del 6 giugno 2012, accoglieva la domanda cautelare dell’appellante principale.

Alla pubblica udienza del 16 novembre 2012 la causa è stata infine trattenuta in decisione.

L’appello principale è fondato e deve essere accolto, mentre quello incidentale va disatteso.

1 Con la sentenza impugnata il T.A.R. ha accolto il ricorso della Cooperativa Sociale Passaparola, reputando fondata la censura di violazione dell’art. 38 del Codice dei contratti pubblici (di seguito, il Codice) sotto il profilo dell’omissione delle dichiarazioni riflettenti i c.d. requisiti morali di due procuratrici della cooperativa Universiis del raggruppamento aggiudicatario, in quanto dotate di ampi poteri di rappresentanza.

1a Di seguito, per comodità espositiva, si riporta la motivazione del capo di decisione del T.A.R. investito dall’appello principale.

Considerato: …

che, pur essendo il Collegio consapevole della esistenza di contrapposti orientamenti nell’ambito della giurisprudenza del Consiglio di Stato, ritiene di dover confermare quanto statuito sul punto in precedenti occasioni (cfr. TAR Sardegna sez. I, 17 marzo 2010, n. 337), secondo cui la mancanza della formale qualifica di amministratore della società non può essere considerata sufficiente per sottrarsi all’applicazione degli obblighi dichiarativi imposti dalla norma richiamata, in particolar modo in presenza di procuratori speciali cui siano stati conferiti poteri di rappresentanza negoziale molto ampi, che hanno per oggetto anche la sottoscrizione di atti relativi alle procedure di appalto e dei relativi contratti (come nel caso di specie). La prevalente giurisprudenza del Consiglio di Stato, condivisa dal Collegio, ha, infatti, chiarito che, per l’individuazione dei soggetti tenutialle dichiarazioni sostitutive finalizzate alla verifica del possesso dei requisiti di moralità, quando si tratti di titolari di organi di persone giuridiche, al fine di ricomprenderli nella nozione di “amministratori muniti di poteri di rappresentanza” occorre esaminare i poteri, le funzioni e il ruolo effettivamente e sostanzialmente attribuiti al soggetto considerato, al di là delle qualifiche formali rivestite (in tal senso cfr. Cons. St., sez. VI, 8 febbraio 2007, n. 523, che nella categoria degli amministratori, ai fini dell’art. 38 cit., fa rientrare sia i “soggetti che abbiano avuto un significativo ruolo decisionale e gestionale societario” sia i procuratori ai quali siano conferiti poteri di “partecipare a pubblici appalti formulando le relative offerte”; sez. VI, 12 ottobre 2006, n. 6089; sez. V, 28 giugno 2004, n. 4774; sez. V, 28 maggio 2004, n. 3466; sez. V, 09 giugno 2003, n. 3169; nonché, recentemente, sez. IV, 1 aprile 2011, n. 2068; sez VI, 18 gennaio 2012, n° 178; in senso contrario si veda sez. V n. 6136/2011; n.. 513/2011; n. 134/2011).

che, come risulta dalla documentazione in atti e come, d’altronde, è indiscusso tra le parti, di talisoggetti, muniti di poteri rappresentativi in nome e per conto della cooperativa Universiis, non sono state prodotte in gara le relative dichiarazioni sostitutive ai sensi dell’art. 38 cit., per cui l’offerta del raggruppamento aggiudicatario avrebbe dovuto essere esclusa;”.

1b Come ben ricorda l’appellante, l’interpretazione normativa di cui è espressione la sentenza in epigrafe è stata ormai da tempo disattesa dalla Sezione, con precedenti da cui non si vede ragione per discostarsi.

Questa Sezione ha invero già illustrato con approfondita motivazione la necessità di ancorare l’applicazione della norma di cui si tratta a basi di oggettivo rigore ermeneutico, sottolineando che occorre avere riguardo alla posizione formale rivestita dal singolo nell’organizzazione societaria, piuttosto che dedicarsi a problematiche quanto malcerte indagini “sostanzialistiche” (Sez. V, 25 gennaio 2011, n. 513) che non sembrano permesse dal dato normativo, ed i cui esiti sarebbero imprevedibili ex ante da parte delle imprese e delle Stazioni appaltanti.

Più analiticamente, le valutazioni esposte sono state le seguenti.

L'interpretazione del citato art. 38 con riferimento ai soggetti per i quali la dichiarazione deve essere resa è stata oggetto di diversi orientamenti giurisprudenziali, fra i quali permane un contrasto.

L'art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006 fa riferimento, per le società di capitali, agli "amministratori muniti del potere di rappresentanza".

Secondo una parte della giurisprudenza, per l'individuazione dei soggetti tenuti alle dichiarazioni sostitutive finalizzate alla verifica del possesso dei requisiti di moralità, quando si tratti di titolari di organi di persone giuridiche da ricondurre alla nozione di "amministratori muniti di poteri di rappresentanza", occorre esaminare i poteri, le funzioni e il ruolo effettivamente e sostanzialmente attribuiti al soggetto considerato, al di là delle qualifiche formali rivestite (Cons. Stato, V, 16 novembre 2010 n. 8059; VI, 8 febbraio 2007, n. 523, che nella categoria degli amministratori, ai fini dell'art. 38 cit., fanno rientrare sia i "soggetti che abbiano avuto un significativo ruolo decisionale e gestionale societario", sia i procuratori ai quali siano conferiti poteri di partecipare a pubblici appalti formulando le relative offerte).

Altra giurisprudenza ha … limitato la sussistenza dell'obbligo di dichiarazione ai soli amministratori muniti di potere di rappresentanza e ai direttori tecnici, e non anche a tutti i procuratori della società (T.A.R. Basilicata, I, 22 aprile 2009 , n. 131; T.A.R. Liguria, II, 11 luglio 2008 , n. 1485; T.A.R. Calabria - Reggio Calabria, I, 08 luglio 2008 , n. 379). …

Il Collegio ritiene di dover aderire - per le considerazioni di seguito esposte - alla seconda tesi, che limita l'applicabilità della disposizione ai soli amministratori della società, e non anche ai procuratori speciali.

Ai sensi dell'art. 2380-bisc.c., la gestione dell'impresa spetta esclusivamente agli amministratori e può essere concentrata in un unico soggetto (amministratore unico) o affidata a più persone, che sono i componenti del consiglio di amministrazione (in caso di scelta del sistema monistico ex artt. 2380 e 2409-sexiesdecies c.c.) o del consiglio di gestione (in caso di opzione in favore del sistemadualistico ex artt. 2380 e 2409-octiesc.c.): ad essi, o a taluni tra essi, spetta la rappresentanza istituzionale della società. …

L'art. 38 del d. lgs. n. 163/06 richiede la compresenza della qualifica di amministratore e del potere di rappresentanza (che può essere limitato per gli amministratori ex art. 2384, comma 2, c.c.) e non vi è alcuna possibilità per estendere l'applicabilità della disposizione a soggetti, quali i procuratori, che amministratori non sono.

Del resto, si tratta di una norma che limita la partecipazione alle gare e la libertà di iniziativa economica delle imprese, essendo prescrittiva dei requisiti di partecipazione e che, in quanto tale, assume carattere eccezionale ed è, quindi, insuscettibile di applicazione analogica a situazioni diverse, quale è quella dei procuratori.

Peraltro, anche l'applicazione analogica sarebbe opinabile, in presenza di una radicale diversitàdella situazione dell'amministratore, cui spettano compiti gestionali e decisionali di indirizzi e scelte imprenditoriali e quella del procuratore, il quale, benché possa essere munito di poteri di rappresentanza, è soggetto dotato di limitati poteri rappresentativi e gestionali, ma non decisionali (nel senso che i poteri di gestione sono pur sempre circoscritti dalle direttive fornite dagli amministratori). …

Si deve, quindi, prendere atto che l'art. 38 del d.lgs. n. 163/06 - nell'individuare i soggetti tenuti a rendere la dichiarazione - fa riferimento soltanto agli "amministratori muniti di potere di rappresentanza": ossia, ai soggetti che siano titolari di ampi e generali poteri di amministrazione, senza estendere l'obbligo ai procuratori.

La soluzione accolta, oltre ad essere maggiormente rispondente al dato letterale del citato art. 38, evita che l'obbligo della dichiarazione possa dipendere da sottili distinzioni circa l'ampiezza dei poteri del procuratore, inidonee a garantire la certezza del diritto sotto un profilo di estremarilevanza per la libertà di iniziativa economica delle imprese, costituito dalla possibilità di partecipare ai pubblici appalti” (così la decisione Sez. V, 25 gennaio 2011, n. 513; nello stesso senso cfr. anche, tra le altre, 24 marzo 2011, n. 1782; 21 novembre 2011, n. 6136; 6 giugno 2012, n. 3340).

L’interpretazione appena esposta, imperniata dunque sulla stretta nozione tecnica di ”amministratore” societario, va pertanto seguita senz’altro anche nel caso concreto, con la conseguenza che la censura accolta dal primo Giudice risulta già per questa ragione infondata.

1c L’originaria ricorrente si richiama all’esistenza anche di orientamenti diversi, presso altre Sezioni di questo Consiglio.

Il Collegio rileva, tuttavia, che la fattispecie concreta non sarebbe suscettibile di decisione difforme neppure nell’ambito dell’impostazione alternativa che viene talora effettivamente seguita da altre Sezioni.

Invero, l’interpretazione sostanzialistica patrocinata dalla Cooperativa Sociale Passaparola presuppone l’esistenza di procuratori investiti di poteri decisionali e rappresentativi consistenti, al punto di permetterne l’assimilazione a degli amministratori muniti di potere rappresentativo (la figura specifica cui l’art. 38 cit. ha riguardo). L’indirizzo postula, cioè, l’esistenza di posizioni procuratorie che, in forza della latitudine dei poteri non solo rappresentativi, ma anche decisionali, loro attribuiti, porrebbero gli interessati in una posizione assimilabile, in pratica, a quella di un amministratore di fatto.

E’ stato infatti ritenuto talora sussistente l'obbligo di dichiarazione previsto dall’art. 38 cit., oltre che per chi rivesta formalmente la carica di amministratore, anche nei riguardi di colui che, in qualità di procuratore ad negotia, abbia ottenuto il conferimento di poteri consistenti nella rappresentanza dell'impresa e nel compimento di atti decisionali (VI, 18 gennaio 2012, n. 178). In questo ordine di idee viene rimarcata, quindi, la necessità dell'oggettiva sussistenza di poteri gestori generali e continuativi, sottolineandosi, peraltro, che l’esistenza di siffatti poteri gestori non potrebbe ricavarsi dal conferimento del mero potere di rappresentanza negoziale della società, anche ove comprensivo della facoltà di partecipare alle gare e stipulare contratti con la pubblica amministrazione (IV, 12 gennaio 2011, n. 134; sulla necessità che ai fini in parola i procuratori speciali, al di là della loro qualifica formale, gestiscano affari sociali, in ragione dei poteri loro in sostanza conferiti, rivestendo un significativo ruolo decisionale e gestionale, v. altresì VI, 15 giugno 2011, n. 3655).

Ebbene, la condizione, appena vista, del potere decisionale riconosciuto ai procuratori nella fattispecie concreta non ricorre.

Nel caso in esame non emerge, infatti, che le sigg.re De Marchi e Dolso detenessero – come si esprime la ricorrente di prime cure - i poteri di amministrazione e di rappresentanza tipici e propri degli amministratori.

L’appellante principale, in proposito, obietta perentoriamente che i poteri sostanziali attribuiti alle suddette procuratrici non potrebbero in alcun modo giustificare un’equiparazione a quelli di un amministratore: i primi sarebbero, difatti, meramente esecutivi, in quanto avulsi da un’effettiva funzione gestionale; e soltanto gli amministratori sarebbero le figure deputate alla determinazione delle scelte e degli indirizzi dell’azienda.

In linea con questa obiezione, i passaggi della visura camerale all’uopo valorizzati dalla difesa della Cooperativa Sociale Passaparola, se indubbiamente riflettono dei significativi poteri rappresentativi, non forniscono, però, elementi in ordine all’esistenza di un sottostante potere decisionale attinente alle concrete scelte ed indirizzi inerenti alla gestione dell’impresa.

La visura non solo attesta come lo statuto si premuri di riservare “esclusivamente agli amministratori” (che compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale) la gestione dell’impresa, ma è eloquente anche nel raffronto da essa offerto tra i poteri attribuiti alle due procuratrici, da un lato, e quelli, invece, più ampi e soprattutto penetranti, intestati ai consiglieri di amministrazione, che includono appunto, oltre al potere di rappresentanza, le effettive funzioni gestorie.

In definitiva, non è quindi dato rinvenire l’esistenza di elementi (di natura “sostanziale”) che potrebbero ipoteticamente giustificare l’estensione degli obblighi dichiarativi previsti dall’art. 38 cit. alla posizione delle due procuratrici anzidette.

Per quanto già esposto, risulta inoltre infondato anche il richiamo dell’originaria ricorrente all’art. 10 della legge n. 575 del 1965 (l’art. 10 sexies della stessa fonte non viene richiamato dall’art. 38 del Codice), atteso che alla stregua della stessa impostazione della parte la doglianza esigerebbe pur sempre una partecipazione del collaboratore alla determinazione delle scelte ed indirizzi dell’impresa, condizione che qui non si profila.

E per le stesse ragioni in precedenza illustrate la Sezione non ritiene nemmeno di poter raccogliere le sollecitazioni della difesa dell’originaria ricorrente ad investire sul tema, in quanto materia di interpretazioni giurisprudenziali divergenti, l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio.

1d Né vale invocare il criterio da quest’ultima fornito con la decisione 4 maggio 2012 n. 10, allorché l’Adunanza ha espresso il giudizio che nella (affine) causa di esclusione che formava allora oggetto di esame non potesse non ricadere “anche l’ipotesi in cui affiori l’intento di eludere la norma in relazione a vicende in atto o prevedibili. Diversamente opinando si finirebbe infatti col disattendere lo scopo stesso della preclusione di legge, da individuarsi sicuramente in quello di impedire anche solo la possibilità di inquinamento dei pubblici appalti di lavori, servizi e forniture derivante dalla partecipazione alle relative procedure di affidamento di soggetti di cui sia accertata la mancanza di rigore comportamentale con riguardo a circostanze gravemente incidenti sull’affidabilità morale e professionale.

Questo per la semplice quanto decisiva ragione che nella presente vicenda, ben diversamente dal caso esaminato dall’Adunanza Plenaria, non sarebbe ravvisabile alcun intento elusivo della disposizione del Codice, come si desume dall’eloquente ragione che l’aggiudicataria, una volta appreso che potesse esserle addebitata la mancata allegazione delle dichiarazioni, pur non richieste dalla lex specialis, sui requisiti morali delle due procuratrici della cooperativa Universiis, non ha avuto difficoltà a produrre (sia pure oltre i termini di gara, in data 4 gennaio 2012) le dichiarazioni in tesi omesse.

1e Per le ragioni esposte, deve concludersi che la dichiarazione prevista dall’art. 38 cit. per le due procuratrici non fosse dovuta.

Da cui l’inconsistenza della censura che ha formato invece oggetto di adesione da parte del T.A.R..

L’appello principale merita, pertanto, accoglimento.

2 Formano, per converso, oggetto di appello incidentale da parte della Cooperativa Sociale Passaparola i capi della stessa decisione in epigrafe recanti il rigetto di due ulteriori motivi del ricorso di primo grado.

2a Dinanzi al T.A.R. l’originaria ricorrente aveva dedotto la violazione dell’art. 38 cit. anche sotto il profilo dell’omessa presentazione della dichiarazione sostitutiva sul possesso dei requisiti generali da parte dei responsabili tecnici, richiamando il fatto che nell’organigramma della coop Universiis figurava anche un responsabile tecnico di cui al D.M. n. 274/1997.

Il primo Giudice ha però ritenuto infondato il rilievo, “concernente il responsabile tecnico di cui al D.M. 274/1997, in quanto si tratta di operatore previsto nell’ambito dei servizi di pulizia, di disinfezione, di disinfestazione, di derattizzazione e di sanificazione, che non costituiscono l’oggetto principale del contratto affidato con la procedura di gara in questione”.

Con l’appello incidentale si torna ad insistere sull’equiparabilità del responsabile tecnico di cui al D.M. n. 274/1997 al direttore tecnico cui ha riguardo l’art. 38 cit., puntualizzandosi che quest’ultima norma non esige che la posizione di direttore tecnico inerisca, in concreto, all’oggetto della singola gara.

Questa Sezione ha tuttavia già avuto modo di osservare, in un simile caso in cui pure si discuteva della possibilità dell’anzidetta equiparazione (V, 21 novembre 2011, n. 6136), che allorché la gara riguardi un settore del tutto diverso (allora, un servizio di ristorazione collettiva) dalle operazioni di pulizia, disinfezione, disinfestazione, derattizzazione e sanificazione, la predetta equiparazione debba essere esclusa.

E’ stato difatti enunciato, allora, il criterio in base al quale il riferimento dell’art. 38 cit. alla figura del “direttore tecnico” vale a richiamare, sì, anche la condizione di coloro che rivestano una posizione simile rispetto al settore operativo nel quale la commessa si inscrive, ma non anche tutti i preposti tecnici ai settori di attività implicate solo del tutto marginalmente - o per nulla - nell’attività esecutiva dell’appalto.

In questa sede non sono state fornite ragioni sufficienti a giustificare il superamento della suddetta impostazione, che va quindi confermata.

Anche in questo caso può dunque ritenersi che, ai fini della procedura oggetto di causa e alla stregua del preciso oggetto dell’appalto da assegnare per suo tramite (servizi di aggregazione sociale ed educativi), la posizione del responsabile tecnico di cui al D.M. n. 274/1997 non possa essere assimilata a quella di un “direttore tecnico”.

La prima, invero, è una preposizione che attiene ad un settore tecnico ben ristretto e specifico. Sicché, quando la gara da espletare riguardi un’area sulla quale le attività proprie del suddetto settore non abbiano alcuna apprezzabile incidenza (come nella fattispecie), la suddetta equiparazione si presenta arbitraria, e come tale ingiustificabile, per difetto del presupposto dell’eadem ratio legis (essendo anche, per giunta, in conflitto con l’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche).

2b La Cooperativa Sociale Passaparola aveva altresì dedotto la violazione del bando di gara nella parte in cui questo fissava i requisiti di fatturato necessari per la partecipazione alla procedura, richiedendo ai concorrenti l’avvenuto conseguimento, in ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010, di un fatturato di almeno 800.000 euro.

Il T.A.R. ha però respinto anche questa censura, osservando che il Consorzio Network Etico aveva dimostrato di aver maturato l’importo richiesto attraverso le cooperative consorziate che erano state indicate per l’esecuzione del servizio, e richiamando, a conferma di tale lettura, il precedente di questa Sezione 8 ottobre 2010, n. 7346 (che proprio sul punto aveva riformato la decisione n. 84/2010 dello stesso T.A.R. Sardegna).

L’attuale appellante incidentale, in questa sede, ripropone la propria tesi sul disposto dell’art. 35 del Codice, a mente del quale i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria per l’ammissione alle procedure degli appalti pubblici devono essere posseduti e comprovati, di regola, direttamente dai consorzi, con la sola eccezione - qui non rilevante - delle tipologie di requisiti per i quali l’articolo consente, invece, a tali soggetti di fruire degli elementi posseduti dalle singole imprese consorziate.

La Sezione ritiene, tuttavia, che la posizione da essa già assunta sul tema attraverso il precedente n. 7346/2010 appena indicato (reso, tra l’altro, proprio nei confronti dello stesso Consorzio Network Etico) debba trovare conferma, non essendo state fornite ragioni sufficienti a discostarsene.

Come avverte l’art. 7 del capitolato in atti, anche la procedura in esame riguarda servizi rientranti nell’allegato II B al Codice (con il numero 25, nell’allegato, sono difatti riportati i “servizi sanitari e sociali”), come la specie a suo tempo decisa.

Ora, nella precedente occasione la Sezione ha avuto già modo di vagliare la tesi per cui il Consorzio Network Etico avrebbe dovuto dimostrare il possesso in proprio dei requisiti previsti dal bando, giusta la disciplina posta dall’art. 35 del d.lgs. n. 163/2006, senza potersi intestare quelli posseduti dalle sue consorziate, ancorché designate per l'esecuzione del servizio.

Ma tale tesi è stata respinta con la seguente, condivisibile motivazione.

Deve ritenersi, infatti, che la normativa applicabile alla fattispecie rende possibile, senza limitazioni, il cumulo dei requisiti, in forza del rapporto organico che regola le società cooperative.

Pertanto, alla fattispecie in esame, non va applicato l’art. 35 del D.Lgs. n. 165/06, atteso che l'art. 20 dello stesso Decreto ed anche il bando, con riferimento alla classificazione del servizio oggetto dell’ appalto come servizio compreso nell'allegato II B del Codice dei contratti, limita l'applicabilità del Codice stesso ai soli artt. 65, 68 e 225 (analogamente a quanto disposto dall'art. 20 della dir. CE n. 18/04).

Pertanto, al Consorzio appellante andava applicata la disciplina specialistica (art. 8 L. n. 381/91), a prescindere da qualsivoglia rapporto di avvalimento atteso che, nella fattispecie, si è in presenza di un rapporto organico in conseguenza del quale l'attività posta in essere da ciascuna cooperativa, nella sua qualità di consorziata, è immediatamente imputabile al Consorzio (C.S. n. 3477/07, n. 2183/03 ), con conseguente irrilevanza della mancanza dei requisiti di capacità tecnica e di fatturato nell'ultimo triennio in capo al “Consorzio Network”, atteso il possesso di tali requisiti da parte delle consorziate (C.S. n. 383/06)” (Sez. V, decisione cit. n. 7346 del 2010).

Tornando alla fattispecie odierna, se è vero che il bando richiamava (alla pag. 3) l’art. 34, comma 1, del Codice, ciò valeva, peraltro, solo ad indicare che anche i Consorzi avrebbero potuto partecipare alla gara.

La lex specialis, per contro, non richiamava l’art. 35: donde la sua inapplicabilità al caso concreto, con la conseguente piena sovrapponibilità della vicenda in esame a quella a suo tempo decisa.

Gli appalti di servizi ricadenti nell’allegato II B al d.lgs. n. 163/2006 costituiscono, infatti, una materia cui non sono applicabili le comuni norme del Codice dei contratti pubblici, bensì solo quelle costituenti espressione dei pertinenti principi generali.

L’art. 20 del Codice dei contratti, invero, al primo comma recita: “L’aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell’allegato II B è disciplinata esclusivamente dall’art. 68 (specifiche tecniche), dall’articolo 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento), dall’articolo 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati).” Disposizione da integrare con quella del successivo art. 27, a norma del quale l’affidamento dei contratti pubblici esclusi, in tutto o in parte, dall’applicazione dello stesso Codice deve avvenire “nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità”.

Ciò posto, pare agevole convenire che a nessuno dei principi appena detti potrebbero essere correttamente ricondotte le previsioni dell’art. 35 che sono allegate alla base del mezzo in disamina.

Le dette previsioni, per la loro specificità di precetti particolari, sono, del resto, intrinsecamente inidonee ad integrare un “principio” : a meno di non essere disposti a ravvisarne uno in ogni frammento del reticolato normativo del Codice, secondo un ordine di idee, incline all’automatica promozione di norme di dettaglio a norme di “principio”, che sarebbe, però, incompatibile con la ben diversa logica, assai selettiva, sottesa ai suoi artt. 20 e 27 (in tal senso v. già la dec. V, 6 agosto 2012, n. 4510).

Sicché anche questo mezzo è stato dal Tribunale fondatamente respinto.

3 La cooperativa appellata ripropone, infine, la propria censura subordinata, rimasta in primo grado assorbita, con la quale si deduceva l’illegittimità per difetto assoluto di motivazione di tutti gli atti di gara (a partire dal verbale n. 2 e sino all’aggiudicazione definitiva), sul rilievo che i punteggi numerici attribuiti dalla Commissione non sarebbero stati preceduti dalla previsione di parametri articolati in misura sufficiente a renderli comprensibili.

In proposito, come è noto, l’orientamento della giurisprudenza è nel senso che, per quanto riguarda la valutazione delle offerte da parte della commissione di gara pubblica, l'attribuzione dei punteggi in forma soltanto numerica può essere consentita quando il numero e lo schema delle sottovoci, con i relativi punteggi, entro i quali ripartire i parametri di valutazione di cui alle singole voci, sia sufficientemente analitico da delimitare il giudizio nell'ambito di un minimo e di un massimo, rendendo così evidente l'iter logico seguito nel valutare i singoli progetti sotto il profilo tecnico in applicazione di puntuali criteri predeterminati e permettendo di controllarne la logicità e congruità, laddove altrimenti è necessaria una puntuale motivazione del punteggio attribuito (Sez. V, 12 giugno 2012, n. 3445; sulla stessa linea v., ad es., III, 11 marzo 2011, n. 1583; V, 17 gennaio 2011, n. 222; 3 dicembre 2010, n. 8410).

Ciò premesso, la Sezione è dell’avviso che nella specie si verta nella prima delle due ipotesi, stante la sufficiente articolazione dei criteri di valutazione previsti dall’art. 8 del disciplinare, il quale ripartiva gli 80 punti riservati all'offerta tecnica in tre criteri, a loro volta articolati in cinque sub-criteri, gli uni e gli altri sufficientemente chiari e specifici, per ciascuno dei quali era stato stabilito il punteggio massimo.

Sicché, non potendo dirsi che nello specifico fosse stato concesso un illegittimo margine alle valutazioni discrezionali della Commissione, e potendo ricostruirsi l'iter logico attraverso il quale questa è pervenuta al proprio giudizio, deve concludersi che il punteggio numerico poteva legittimamente integrare la motivazione della valutazione dell’offerta tecnica.

4a L’accertata infondatezza dell’azione impugnatoria proposta con il ricorso di primo grado comporta, logicamente, anche il rigetto della domanda risarcitoria che era stata originariamente introdotta dalla Cooperativa Sociale Passaparola, per carenza del requisito dell’ingiustizia del danno allegato.

4b Una domanda risarcitoria è stata proposta, infine, anche dall’appellante principale. Questo, tuttavia, solo subordinatamente alla particolare condizione (v. pag. 15 dell’appello) che l’appalto fosse stato stipulato dalla Stazione appaltante, nelle more, con la sua rivale, ed in questa sede venisse negato ad essa appellante il relativo subentro. La condizione così posta, però, non si è verificata (il contratto è stato stipulato, il 4 luglio 2012, proprio dal Consorzio Network Etico), e tale circostanza esime la Sezione dal prendere in esame la domanda.

5 In conclusione, mentre l’appello principale deve essere accolto quello incidentale va disatteso, con il risultato finale del rigetto, in riforma della sentenza appellata, del ricorso di primo grado.

Le incertezze registrabili nella giurisprudenza sulla materia oggetto dell’appello principale giustificano la compensazione delle spese processuali del doppio grado tra tutte le parti in causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sulla causa in epigrafe, accoglie l’appello principale e respinge quello incidentale, e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

 

Fonte: Consiglio di Stato - La Giustizia Amministrativa

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