Consiglio di Stato -
C.g.a. 16 agosto 2019, n. 758
Esclusione dalla gara per
omessa dichiarazione di debito con il fisco
Contratti della
Pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara – Omessa
dichiarazione debito con il fisco – Non oggetto di atto
dell’Amministrazione finanziaria – Non comporta l’esclusione.
Non
è motivo di esclusione dalla gara la mancata dichiarazione di un
debito con il fisco ancora non oggetto di (o contenuto in) un
atto dell’amministrazione finanziaria in pendenza del termine
per presentare la domanda di partecipazione alla procedura, che
nel suo complesso il contribuente ha poi chiesto di rateizzare e
la cui istanza è stata accolta (1).
(1) Ha affermato la Sezione
che la disciplina nazionale in tema di esclusione dalla gare per
irregolarità fiscale, anche in ragione del recepimento
incompleto della direttiva è molto garantista nei confronti del
privato e non del tutto coordinata con il diritto tributario.
Rilevano infatti, in senso escludente, solamente i debiti
fiscali definitivamente accertati, per tali intendendosi quelli
non contestati in giudizio nei termini di legge ovvero se
contestati confermati dal giudice tributario sulla base di una
sentenza non più soggetta ad impugnazione; con la conseguenza
che la proposizione di un ricorso dinanzi alla competente
commissione tributaria (o di un appello o di un ricorso per
cassazione), quand’anche manifestamente infondato, è comunque
sufficiente a determinare (a perpetuare) la non definitività del
debito e, in ultima analisi, a permettere nelle more la
partecipazione alle gare, oltre tutto, a scapito degli altri
concorrenti che siano invece (del tutto) in regola con il fisco
(e magari, proprio per tale ragione, impossibilitati ad offrire
ribassi oltre una certa misura).
Si intende, quindi, secondo la
legislazione in materia di contratti pubblici, che qualunque
debito, per quanto rilevante in termini economici, purché (e
finché) ancora oggetto di un giudizio tributario (proponibile o)
pendente, non potrà essere motivo di esclusione ai sensi
dell’art. 80, comma 4, del codice dei contratti del 2016.
La Sezione ha aggiunto che la
previsione della direttiva 24/2014, che permette alle stazioni
appaltanti di valutare anche l’esistenza di debiti non ancora
definitivi, sulla base di un prudente apprezzamento e attraverso
una causa di esclusione di tipo facoltativo, non è stata
recepita nel nostro sistema, neppure in occasione dell’ultimo
intervento dedicato alla modifica di talune parti del codice dei
contratti del 2016 (con il d.l. n. 32 del 2019 e la legge di
conversione n. 55 del 2019).
Ha quindi affermato la Sezione
che l’art. 80, comma 4, del Codice dei contratti pubblici non si
coordina alla perfezione con la disciplina fiscale propriamente
intesa.
L’art. 80, nel fare riferimento
a “sentenze e atti non più soggetti ad impugnazione” sembra
scritto, infatti, pensando essenzialmente alle pretese fiscali
(che sono) oggetto di avvisi di accertamento, la cui
inoppugnabilità o la cui conferma in giudizio rende
“definitivamente accertate” le violazioni (ossia gli omessi
pagamenti, nella soglia minima ritenuta rilevante) del
contribuente. Molto meno chiaro è invece se, a fronte di un
avviso di accertamento divenuto già definitivo ovvero
inoppugnabile, possa bastare l’impugnazione della cartella di
pagamento, quale atto di riscossione esecutivo di detto avviso,
per permettere al contribuente di invocare – magari a distanza
di anni dal verificarsi del presupposto - la non definitività
della sua irregolarità
Fonte:
Consiglio di Stato - La Giustizia Amministrativa |
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