Ministro
dell'ambiente
Nota del 28 luglio 2000 - n. 10103
Applicabilità del Dlgs 22/97
alle terre e rocce da scavo.
Sono pervenute a questa Amministrazione richieste
di chiarimento in merito alla classificazione giuridica del materiale inerte proveniente
da scavo.
Si chiede, cioè, di conoscere se ed a quali
condizioni le terre e rocce provenienti da scavo soddisfino la definizione di rifiuto di
cui all'articolo 6, del Dlgs 22/97 e debbano, quindi, essere sottoposte al relativo regime
giuridico, amministrativo e di controllo.
In particolare, viene evidenziato che l'art. 7,
comma 3, Dlgs 22/97, classificherebbe come rifiuti speciali le terre da scavo solo se
pericolose e, di conseguenza, si prospetta che non dovrebbero essere considerate rifiuti
tutte le terre da scavo non pericolose.
Le soluzioni dei predetti quesiti possono così
essere sintetizzate, per i motivi che sono successivamente precisati:
a) In primo luogo si ritiene che debbano sempre
essere considerate rifiuti le terre da scavo che presentino concentrazioni di inquinanti
superiori ai limiti accettabili stabiliti dal Dm 471/99 per i siti con destinazione verde
privato, pubblico e residenziale. In tal caso, infatti si pone l'evidente esigenza di
controllare l'utilizzo delle terre e rocce da scavo al fine di prevenire il trasferimento
di inquinanti e determinare l'inquinamento di altri siti con conseguente obbligo di
bonifica dei siti medesimi;
b) Si ritiene, invece, che non debbano essere,
qualificate rifiuto e, di conseguenza, non rientrino nel campo di applicazione del Dlgs
22/97 le terre da scavo che presentino concentrazioni di inquinanti inferiori ai limiti
accettabili stabiliti dal Dm 471/99 per i siti ad uso residenziale, verde privato e
pubblico, e che siano destinate al normale ciclo di utilizzo della terra quali, a mero
titolo esemplificativo, sottofondi e rilevati stradali, rimodellamenti morfologici, usi
agricoli, riempimenti, ecc.;
c) Si ritiene, infine, che le terre da scavo
possano essere riutilizzate direttamente nel sito dove sono prodotte a prescindere dalla
loro classificazione giuridica. In tale evenienza, infatti, non si determina alcun rischio
di trasferimento di inquinanti in altri siti e quindi non sussistono le esigenze di
controllo a fini di tutela ambientale proprie del regime dei rifiuti. Ovviamente, resta
salvo l'obbligo di provvedere alla bonifica del terreno e del sito quando ne ricorrano le
condizioni ed i presupposti ai sensi dell'art. 17, Dlgs 22/97 e del Dm 471/99.,
Tali conclusioni poggiano sulle seguenti
considerazioni.
Com'è noto, l'art. 6, comma 1, lett. a), Dlgs 22/97 definisce rifiuto «qualsiasi
sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A e di cui il
detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi».
L'allegato Al al Dlgs 22/97 contiene, peraltro,
due voci residuali, la prima e l'ultima, che definiscono rifiuto anche tutti gli oggetti e
le sostanze non compresi nell'allegato medesimo.
Il Cer (Catalogo Europeo dei Rifiuti) riportato
nell'allegato A2 al Dlgs 22/97, inoltre, individua alla voce 170501 le terre e rocce e il
Cer medesimo al punto 3 della nota introduttiva precisa che la catalogazione dei rifiuti
non è esaustiva in quanto vi sono sostanze ed oggetti che possono essere classificati
rifiuti dal punto di vista giuridico ancorché non compresi nel Cer stesso.
Per qualificare giuridicamente una sostanza od un
oggetto come rifiuto risulta, pertanto, determinante il fatto, la volontà, l'obbligo del
produttore/detentore di «disfarsi», cioè di sottoporre o destinare una sostanza od un
oggetto alle operazioni di recupero o smaltimento individuate negli allegati B e C al Dlgs
22/97. In tal senso deve essere letta la disposizione di cui al punto 3 della menzionata
nota introduttiva al Cer (allegato A2 al Dlgs 22/97) secondo cui «... un materiale
figurante nel catalogo non è in tutte le circostanze un rifiuto, ma solo quando esso
soddisfa la definizione di rifiuto».
Questo processo logico deve essere utilizzato
anche per stabilire se e quando le terre da scavo debbano essere considerate rifiuto. In
altri termini, non basta il riferimento oggettivo al Cer, ma si rende altresì necessario
verificare caso per caso quando per le terre e rocce da scavo individuate alla voce 17 05
01 ricorre:
a) il fatto del disfarsi, b) la decisione di
disfarsi,
c) l'obbligo di disfarsi. Al riguardo, nelle
richiesta di parere in esame si, sostiene che sarebbero rifiuti solo le terre da scavo
«pericolose» in quanto l'art. 7, comma 3, del Dlgs 22/97, qualifica come rifiuti
speciali «i rifiuti pericolosi che derivano dalle attività di scavo». La voce terre e
rocce, peraltro, non risulta inclusa nel catalogo dei rifiuti pericolosi. Pertanto, appare
ragionevole ritenere che il legislatore con la disposizione citata di cui all'art. 7,
comma 3 del Dlgs 22/97 abbia inteso affermare un concetto sostanziale di pericolosità,
legato, cioè, alle concentrazioni di inquinanti che in base all'ordinamento vigente
rappresentano un rischio per la tutela della salute e dell'ambiente e quindi determinano
un'esigenza di controllo sulla destinazione finale di tali materiali e delle fonti
inquinanti in essi presenti. Il problema, quindi, si risolve sostanzialmente nello
stabilire quando ricorre questa situazione di rischio per la salute pubblica e per
l'ambiente che soddisfa in sé il requisito della pericolosità e determina l'obbligo del
disfarsi. A questi fini, l'unico e determinante dato positivo rinvenibile nell'ordinamento
è rappresentato dalla disciplina relativa alla bonifica dei siti inquinati prevista dal
Dm 471/99, attuativo dell'art. 17, Dlgs 22/97, che individua puntualmente i limiti di
accettabilità della contaminazione di suoli e acque oltre i quali si determina una
situazione di rischio per la salute e l'ambiente e scatta l'obbligo di procedere alle
operazioni di bonifica. In particolare, in base a tale disciplina le concentrazioni di
inquinanti non rappresentano mai un rischio per la salute e l'ambiente solo quando
rientrano nei. limiti di accettabilità stabiliti dal Dm 471/99 per i siti a destinazione
verde pubblico, privato e residenziale.
Si ritiene, pertanto, che sussiste l'obbligo di
disfarsi si è, cioè, in presenza, di un rifiuto - se le terre e rocce da scavo
presentano concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti di accettabilità stabiliti
dal Dm 471/99 per i siti a destinazione d'uso residenziale, verde privato e pubblico. Tali
materiali sono, in altri termini, assoggettati al regime dei rifìuti.
Qualora, invece, le terre e rocce da scavo
presentino concentrazioni di inquinanti che non superano i predetti limiti accettabili e
vengano sottoposte @ o destinate al normale ciclo di utilizzo della terra - quali, a
titolo
esemplificativo, la realizzazione di rilevati e
sottofondi stradali, rimodellamenti morfologici, l'impiego in attività agricole,
riempimenti ecc. - il produttore non si disfa né decide di disfarsi di tali materiali e
questi ultimi non sono rifiuti. Infatti, nel caso specifico viene meno il requisito
essenziale per qualificare un materiale o un oggetto come rifiuto perché lo stesso non
viene destinato né ad operazioni di recupero né di, smaltimento. Ovviamente, le
modalità di impiego dovranno comunque garantire la conservazione delle caratteristiche
del sito dove le terre da scavo sono utilizzate.
Infine, per quanto riguarda la possibilità di
utilizzare direttamente le terre da scavo nel sito dove le stesse sono prodotte, si rileva
che tale opzione per sua natura non comporta né un disfarsi nel senso sopra esposto né
alcuna modifica qualitativa delle caratteristiche del sito. Si ritiene, perciò, che tale
utilizzo non sia sottoposto al regime dei rifiuti ma possa essere effettuato sulla base
degli elaborati progettuali relativi all'intervento che produce le terre da scavo
medesime, salvo, in ogni caso, l'obbligo di procedere alla bonifica ai sensi dell'art. 17
e del Dm 471/99 qualora ne ricorrano i presupposti.
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