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   Normativa Appalti Lavori Pubblici  
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Dipartimento per i Trasporti, la Navigazione ed i Sistemi Informativi e Statistici
Direzione generale per la sicurezza stradale

Circolare prot. n. 62032

OGGETTO: Uniforme applicazione delle norme in materia di progettazione, omologazione e impiego dei dispositivi di ritenuta nelle costruzioni stradali. 
 

1. PREMESSA

 Nel corso degli anni, a decorrere dall'entrata in vigore del D.M. 223 del 18.2.1992 recante le "Istruzioni tecniche sulla progettazione, omologazione ed impiego delle barriere di sicurezza stradale" e delle sue modificazioni ed integrazioni, sono pervenute a questo Ministero numerose richieste di informazioni e di chiarimenti interpretativi relativi alla applicazione delle norme relative alla progettazione, omologazione ed impiego dei dispositivi di ritenuta nelle costruzioni stradali.

 La presente circolare intende chiarire i dubbi espressi e richiamare l'attenzione degli Enti proprietari, Concessionari e Gestori di strade, di seguito denominati Enti proprietari, dei progettisti, dei produttori e degli installatori di barriere di sicurezza stradali sull'importanza della uniforme applicazione della normativa vigente, senza entrare nel merito di applicazione della marcatura CE, che sarà successivamente regolamentata e chiarita.


 
2. NORME DI RIFERIMENTO

 La presente circolare si riferisce alla seguente normativa vigente:
   • D.M. 18.2.1992 n. 223 - Recante le Istruzioni tecniche sulla progettazione, omologazione ed impiego delle barriere di sicurezza stradale;
   • D.M. 3.6.1998 - Recante le Istruzioni tecniche sulla progettazione, omologazione ed impiego delle barriere di sicurezza stradale (con esclusione delle istruzioni tecniche sostituite dalle istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004 n. 2367);
   • D.M. 21.6.2004 n. 2367 - Recante le Istruzioni tecniche per la progettazione, l’omologazione e l’impiego dei dispositivi di ritenuta nelle costruzioni stradali;
   • UNI EN 1317 - Barriere di sicurezza stradali: parti 1, 2, 3 e 4;
   • UNI CEI EN ISO/IEC 17025 - Requisiti generali per la competenza dei laboratori di prova e di taratura;
   • D.M. 5.11.2001 - Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade e s.m.i.;
   • D.M. 19.4.2006 - Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle intersezioni stradali.

 Si ritiene inoltre opportuno segnalare anche le circolari più recenti che sono state emanate nel settore dei dispositivi di ritenuta, che risultano:
   • Circolare 25.8.2004 n. 3065 - Direttiva sui criteri di progettazione, installazione, verifica e manutenzione dei dispositivi di ritenuta nelle costruzioni stradali (per quanto ancora applicabile);
   • Circolare 20.9.2005 n. 3533 - Direttive inerenti le procedure ed i documenti necessari per le domande di omologazione dei dispositivi di ritenuta nelle costruzioni stradali ai sensi del D.M. 21.06.04 (per quanto ancora applicabile);
   • Circolare 15.11.2007 n. 104862 - Scadenza della validità delle omologazioni delle barriere di sicurezza rilasciate ai sensi delle norme antecedenti il D.M. 21.6.2004 (per quanto ancora applicabile).

 La presente circolare, quindi, chiarisce anche quali siano le parti delle citati circolari ancora applicabili.


 
3. CAMPO DI APPLICAZIONE DEL D.M. n. 223/1992 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI ED INTEGRAZIONI

 Il campo di applicazione della normativa in materia di progettazione, omologazione e impiego dei dispositivi di ritenuta nelle costruzioni stradali è definito dall’art. 2 comma 1 del D.M. 223/1992 e riguarda i progetti esecutivi relativi alle strade ad uso pubblico extraurbane ed urbane che hanno velocità di progetto maggiore o uguale a 70 km/h. Sono espressamente escluse dal campo di applicazione della norma in argomento le progettazioni inerenti le strade extraurbane ed urbane con velocità di progetto inferiore a 70 km/h.

 Si rammenta che sotto il profilo regolamentare la velocità di progetto di un arco stradale deve essere determinata in relazione alla classe funzionale, riportata all’art. 2 comma 2 del D.Lgs. 285/1992 "Nuovo Codice della Strada" ed alle sue caratteristiche planimetriche (raggio di curvatura), indipendentemente dalla eventuale imposizione di un limite di velocità sul tratto stradale oggetto di intervento. Nel caso di interventi da realizzare su strade esistenti, la velocità di progetto dovrà essere calcolata per assimilazione, sulla base di quanto previsto dal D.M. 5.11.2001 "Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade" e s.m.i. per la medesima classe funzionale e raggio planimetrico della tratta.

 Sull’argomento si rammenta infine che, ai sensi dell’art. 3 comma 5 delle norme allegate al D.M. 5.11.2001 e s.m.i. potranno essere considerate "Strade extraurbane locali a destinazione particolare" non caratterizzabili per mezzo del parametro "velocità di progetto" solo le strade agricole, forestali, consortili e simili per le quali il progettista deve prevedere, "per il contenimento delle velocità praticate" (e quindi delle velocità effettivamente tenute dai veicoli), opportuni accorgimenti sia costruttivi che di segnaletica.

 Ai sensi dell’art. 2 del D.M. 223/1992 rientrano nel campo di applicazione della norma i progetti che riguardano:
   • la costruzione di nuovi tronchi stradali;
   • l’adeguamento di tratti significativi di tronchi stradali esistenti ivi compresi gli specifici interventi di adeguamento dei soli dispositivi di ritenuta;
   • la ricostruzione e riqualificazione di parapetti di ponti e viadotti situati in posizione pericolosa per l’ambiente esterno alla strada o per l’utente stradale, anche se non inseriti nell’adeguamento di un intero tronco; che, per la parte attinente l’impiego dei dispositivi di ritenuta, devono essere redatti da un ingegnere e devono seguire i criteri dettati dalle istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004 che sostituiscono e aggiornano tutte le istruzioni tecniche precedenti.

 Le disposizioni del richiamato articolo 2 sono limitate alla progettazione e non costituiscono pertanto un criterio di verifica delle condizioni di efficienza tecnica delle strade in esercizio che non siano oggetto di uno degli interventi di cui al periodo precedente. Analogamente le disposizioni di cui al D.M. 223/1992 e successive modificazioni non si applicano nel caso di ripristini di danni localizzati su barriere già in esercizio. Gli interventi di manutenzione straordinaria finalizzate all’adeguamento dei dispositivi di ritenuta a più elevati standard di sicurezza non possono essere ritenuti "ripristini di danni localizzati" e rientrano pertanto nel campo di applicazione della norma, indipendentemente dalla loro estensione.

 Nei progetti relativi a strade ad uso pubblico che non rientrano invece nel campo di applicazione delle norme richiamate, tenuto conto delle specifiche condizioni locali in termini di configurazione dello stato dei luoghi e di circolazione, qualora sia previsto anche un intervento sui margini o sui dispositivi di ritenuta, il progettista dovrà comunque valutare le situazioni ove si rendono necessarie protezioni in relazione alla presenza od all’insorgenza di condizioni di potenziale pericolo.

 Per impieghi in luoghi sottoposti a vincoli a tutela di bellezze naturali e paesaggistici il progetto potrà prevedere adattamenti di tipo estetico quali colori, rivestimenti e simili, per l’armonizzazione con i luoghi, anche prevedendo variazioni ai dispositivi disponibili che non ne modifichino la funzionalità.


 
4. TIPOLOGIA DI BARRIERA, DESTINAZIONE, CLASSE MINIMA RICHIESTA E SVILUPPI MINIMI DELLE BARRIERE

 L’art. 3 delle istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004 indica che le protezioni dovranno riguardare almeno:
   • "i margini di tutte le opere d'arte all'aperto quali ponti, viadotti, ponticelli, sovrappassi e muri di sostegno della carreggiata, indipendentemente dalla loro estensione longitudinale e dall'altezza dal piano di campagna (... omissis ....);
   • lo spartitraffico ove presente;
   • il margine laterale stradale nelle sezioni in rilevato dove il dislivello tra il colmo dell’arginello ed il piano di campagna è maggiore o uguale a 1 m; la protezione è necessaria per tutte le scarpate aventi pendenza maggiore o uguale a 2/3. Nei casi in cui la pendenza della scarpata sia inferiore a 2/3, la necessità di protezione dipende dalla combinazione della pendenza e dell'altezza della scarpata, tenendo conto delle situazioni di potenziale pericolosità a valle della scarpata (presenza di edifici, strade, ferrovie, depositi di materiale pericoloso o simili);
   • gli ostacoli fissi (frontali o laterali) che potrebbero costituire un pericolo per gli utenti della strada in caso di urto (... omissis ....)."

 L’ubicazione delle protezioni su strada risulta però spesso indipendente dalla tipologia di dispositivo da adottare.

 A titolo di esempio la protezione di un bordo laterale può essere realizzata con una barriera del tipo "per opera d’arte" se si prevede l’installazione della barriera su cordolo in cemento armato. Analogamente, sempre a titolo di esempio, a protezione di uno spartitraffico potrà essere previsto l’impiego di due barriere del tipo "per opera d’arte" o per bordo laterale a condizione che lo spazio a disposizione tra le due barriere sia compatibile con l’idoneo funzionamento di ciascun filare di barriere.

 Nelle sezioni di rilevato dove il dislivello tra il colmo dell’arginello ed il piano campagna risulta superiore o uguale ad 1 metro e con pendenza della scarpata superiore o uguale a 2/3 i margini laterali devono essere obbligatoriamente protetti impiegando barriere di sicurezza stradale. Negli altri casi, ossia in presenza di sezioni stradali con dislivello tra colmo dell’arginello e piano campagna inferiore ad 1 metro, oppure con pendenza della scarpata inferiore a 2/3, sarà responsabilità del progettista valutare la necessità o meno di dotare il margine laterale di barriera stradale, in funzione, ad esempio, della geometria della strada, dell’altezza del rilevato e dell’eventuale presenza di ostacoli in prossimità della sede stradale e/o della scarpata.

 Si ricorda comunque che il criterio di scelta da tenere presente è l’effettiva pericolosità di una fuoriuscita nei punti ricordati, in quanto l’urto su di un dispositivo è comunque potenzialmente traumatico e da evitare, se non necessario, per non introdurre un elemento di ulteriore pericolo.

 Per quanto attiene alla classe minima della protezione da adottare, di cui alla Tabella A delle istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004, si richiama l’attenzione sul fatto che la destinazione "Barriere bordo ponte" si riferisce solo ad "opere di luce superiore a 10 metri; per luci minori sono equiparate al bordo laterale", indipendentemente dalla loro altezza sul piano campagna. I muri di sostegno, che sono evidentemente opere di luce nulla, sono pertanto da equiparare anch’essi al bordo laterale, indipendentemente dall’altezza sul piano campagna e dalla loro estensione.

 In ogni caso i muri e le opere d’arte, indipendentemente dalla loro luce e dalla loro altezza sul piano campagna, devono essere sempre protetti con barriere di classe non inferiore ad H2.

 Si evidenzia che il criterio definito dalla norma si riferisce alla luce dell’opera e non alla lunghezza dell’eventuale cordolo soprastante, che può interessare anche eventuali muri andatori. Nel caso in cui la barriera sia da installare su cordolo in cemento armato, la tipologia di barriera dovrà essere del tipo "da bordo opera d’arte" sebbene della classe corrispondente al bordo laterale, quindi già provata su cordolo in cemento armato (non una barriera provata su terra, installata successivamente su cordolo in cemento armato, circostanza che ne modificherebbe in modo sostanziale il funzionamento).

 Il D.M. 21.6.2004 non prevede invece l’obbligo di protezione nel caso di sezione in trincea o di muri di controripa. In queste situazioni il progettista dovrà valutare caso per caso le situazioni in cui risulti preferibile l’aggiunta di una protezione in funzione della conformazione della sezione (considerando, ad esempio, la conformazione della cunetta di drenaggio anche in relazione a quanto prescritto dal D.M. 5.11.2001 e s.m.i.) e della eventuale presenza di ostacoli. Analogamente non sono prescritte specifiche protezioni per le sezioni in galleria dove il profilo redirettivo richiesto dal D.M. 6792 del 5.11.2001 e s.m.i., per le gallerie realizzate su strade nuove, rappresenta, nella configurazione riportata, una mera configurazione geometrica dell’elemento marginale e non una barriera omologata o provata conformemente alle norme della serie UNI EN 1317. Viceversa la sezione iniziale di una galleria o di un muro di controripa, se non opportunamente sagomata (per evitare il possibile urto frontale), dovrà essere protetta ai sensi dell’art. 3 delle istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004.

 Tali condizioni rappresentano le minime ammesse dalla norma e, come richiamato dall’art. 6 delle istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004, "ove reputato necessario, il progettista potrà utilizzare dispositivi della classe superiore a quella minima indicata". È bene però rammentare che l’adozione in progetto di protezioni con classi superiori alle minime richieste dalla norma deve essere opportunamente giustificata dal progettista in funzione dell’effettivo stato dei luoghi, in quanto all’aumentare della classe aumenta, in generale, il livello di severità d’urto sugli occupanti dei veicoli leggeri ed un incremento di classe non garantisce comunque un incremento di sicurezza.

 Si rammenta infine che la norma UNI EN 1317-2 chiarisce che "Se un’installazione è stata sottoposta a prova con esito positivo a un dato livello di contenimento, si suppone che abbia soddisfatto le condizioni di prova di un livello minore eccezione fatta per N1 e N2 che non comprendono T3". Una barriera omologata o che abbia superato le prove conformemente alla UNI EN 1317-2 in una data classe potrà essere installata anche nei casi in cui sia prevista in progetto una barriera di classe inferiore previa verifica del rispetto dei requisiti prestazionali fissati in progetto (con particolare riguardo alla severità dell’urto).

 Ai sensi dell’art. 6 delle istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004 "Laddove non sia possibile installare un dispositivo con una lunghezza minima pari a quella effettivamente testata (per esempio ponti o ponticelli aventi lunghezze in alcuni casi sensibilmente inferiori all’estensione minima del dispositivo), sarà possibile installare una estensione di dispositivo inferiore a quella effettivamente testata, provvedendo però a raggiungere la estensione minima attraverso un dispositivo diverso (per esempio testato con pali infissi nel terreno), ma di pari classe di contenimento (o di classe ridotta - H3 - nel caso di affiancamento a barriere bordo ponte di classe H4) garantendo inoltre la continuità strutturale. L’estensione minima che il tratto di dispositivo "misto" dovrà raggiungere sarà costituita dalla maggiore delle lunghezze prescritte nelle omologazioni dei due tipi di dispositivo da impiegare".

 Si richiama l’attenzione sul fatto che la previsione dell’adozione di una barriera di classe ridotta - H3 - è limitata al solo caso in cui la barriera da bordo ponte sia di classe H4. In tutti gli altri casi la barriera da bordo ponte e la barriera da bordo laterale con cui è realizzato il sistema misto dovranno essere di pari classe. Le due barriere dovranno in ogni caso garantire la richiesta continuità strutturale. L’accoppiamento tra barriere aventi caratteristiche strutturalmente diverse tali da non garantire la continuità strutturale prevista per il sistema misto è consentita, eventualmente, al di fuori dell’estensione minima della protezione dell’ostacolo, prevista dall’art. 3 delle istruzioni tecniche.

 Il citato art. 3 delle istruzioni tecniche allegate al D.M. indica che "Le protezioni dovranno in ogni caso essere effettuate per una estensione almeno pari a quella indicata nel certificato di omologazione, ponendone circa due terzi prima dell’ostacolo (....omissis....)". Si richiama l’attenzione sul fatto che l’estensione minima pari a quella indicata nel certificato di omologazione ha valore prescrittivo mentre il posizionamento di due terzi prima ha carattere indicativo. Il progettista può stabilire lo sviluppo di barriera da porre a monte dell’ostacolo, tenendo conto delle modalità con cui sono state effettuate le prove sulla barriera per l’omologazione e della morfologia della strada.

Nelle strade a doppio senso di marcia, dove non è possibile individuare il tratto "prima dell’ostacolo", le medesime protezioni andranno realizzate da entrambi i lati dell’ostacolo, fermo restando il vincolo dell’estensione minima di barriera da installare. Nelle strade a senso unico di marcia la barriera dovrà in tutti i casi essere estesa oltre l’ultimo punto da proteggere, in modo da assicurare che le condizioni di funzionamento siano soddisfacenti in tutto il tratto di interesse.


 
5. CORRETTA APPLICAZIONE DELLA LARGHEZZA OPERATIVA E DELLO SPAZIO DI LAVORO NELL’IMPIEGO SU STRADA DELLE BARRIERE DI SICUREZZA

 La definizione di larghezza operativa recata dalla norma UNI EN 1317-2:2007 è stata oggetto di una non uniforme interpretazione da parte degli operatori del settore.

 Sulla base di un parere espresso in merito dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, in attesa della revisione della norma UNI EN 1317-2, nei certificati di omologazione la classe di larghezza operativa è assegnata applicando il criterio di considerare, in fase dinamica, il valore maggiore tra la posizione laterale massima della barriera e quella del veicolo. La classe di larghezza operativa è quindi determinata sulla base del massimo ingombro trasversale del sistema, dal fronte indeformato lato traffico del dispositivo al punto più estremo del dispositivo ovvero del veicolo pesante, rilevato durante le verifiche e prove.

 La predetta circostanza, in taluni casi, può configurarsi come un’interpretazione restrittiva rispetto alla capacità di assolvere alle funzioni di sicurezza richieste, risultando conseguentemente, in sede di progettazione e di installazione per il tratto stradale in valutazione, a volte limitativa rispetto ad un efficace e non ridondante impiego delle barriere di sicurezza in quanto la dimensione in altezza dei veicoli usati nelle prove non è una caratteristica univocamente fissata per la caratterizzazione dei veicoli in svio.

 Al riguardo si ravvisa peraltro che la norma UNI EN 1317-2 indica che "la deflessione dinamica e la larghezza operativa permettono di determinare le condizioni per l’installazione di ogni barriera di sicurezza, nonché di definire le distanze da creare davanti agli ostacoli per permettere alla barriera di fornire prestazioni soddisfacenti." La prescrizione anzidetta correla quindi le condizioni per l’installazione e la valutazione delle distanze di sicurezza, alla posizione presumibile degli eventuali ostacoli fissi o mobili, nonché alle prestazioni della barriera, tenuto conto dello stato dei luoghi e delle condizioni di circolazione.

 Pertanto, nella progettazione e nelle successive verifiche delle condizioni di installazione su strada delle opere progettate, appare più opportuno riferirsi, piuttosto che alla classe di larghezza operativa, direttamente alla deflessione dinamica della barriera oppure alla posizione laterale estrema del veicolo o della barriera, a seconda della necessità.

 In sintesi, al progettista delle installazioni è demandato il compito di stabilire la distanza minima al di sotto della quale non si deve trovare o collocare un dato ostacolo, rispetto al fronte della barriera, affinché le caratteristiche di deformazione della barriera forniscano prestazioni soddisfacenti assicurando contemporaneamente accettabili condizioni di sicurezza in termini di contenimento del veicolo in svio, limitazione della severità dell’urto sugli occupanti, e limitazione dei possibili effetti indotti dall’urto su eventuali elementi esterni alla sede stradale (in relazione, ad esempio, alla possibile caduta di parti dell’ostacolo interessato dall’urto all’esterno della sede stradale).

 In presenza di ostacoli o di altri elementi di possibile interazione con la deformazione della barriera posti all’interno della larghezza operativa della barriera stessa, determinata con riferimento alla classe di contenimento prevista in progetto, il progettista dovrà quindi verificare, almeno:
   • che non si modifichino le severità d’urto per gli occupanti dei veicoli leggeri nelle condizioni corrispondenti alle prove TB11 e TB32 (ove prevista) di cui alla UNI EN 1317-2;
   • le conseguenze dell’urto con veicolo pesante sull’elemento posto all’interno della larghezza operativa. Il veicolo pesante da considerare è quello corrispondente alla classe di protezione prevista dalla norma, indipendentemente dalla eventuale scelta progettuale di elevare la classe al fine di contenere le deformazioni dinamiche o per altre motivate considerazioni tecniche.

 A tale scopo il progettista potrà prendere in considerazione, ad esempio:
   • le caratteristiche geometriche e strutturali degli ostacoli;
   • le caratteristiche dell’ambiente esterno all’infrastruttura stradale;
   • la distribuzione probabilistica degli eventi per valutare le effettive condizioni di esercizio della barriera.

 Nel caso di nuove opere, il progettista deve preliminarmente determinare se sussistano le condizioni di sostenibilità di una soluzione tecnica che preveda la rimozione dell’interazione con la barriera di sicurezza.

 Si consideri ad esempio il caso in cui sia presente un ostacolo con caratteristiche e/o dimensioni tali da non poter essere in nessun modo interessato dal moto del veicolo durante l’urto, come nel caso di ostacoli di altezza pari o inferiore all’altezza della barriera (come nel caso di accoppiamento di due barriere nello spartitraffico). E’ sufficiente nella circostanza anzidetta effettuare le necessarie valutazioni sulla base della posizione laterale massima della barriera; non si rende invece necessaria una limitazione della larghezza operativa, che avrebbe il solo effetto di limitare in modo ingiustificato la gamma dei possibili dispositivi da impiegare nell’installazione su strada.

 Al contrario nel caso in cui la barriera sia posta a protezione dei sostegni di un pannello a messaggio variabile ubicato sopra la carreggiata, si dovrà considerare, nel verificare le condizioni di installazione, sia la posizione laterale massima dinamica del veicolo che quella della barriera al fine di controllare anche gli effetti del possibile impatto del veicolo contro la struttura.

 Per quanto sopra illustrato, poiché la larghezza operativa, come previsto dalla normativa italiana ed europea, è definita in relazione al sistema veicolo-barriera, si invitano gli Enti proprietari, Progettisti, Produttori e Installatori di barriere di Sicurezza stradale, a rendere questo parametro discriminatorio (specialmente durante la predisposizione dei bandi di gara) soltanto in quei casi ove effettivamente lo richiedano le condizioni di esercizio della strada.

 Come previsto dalla normativa vigente il progettista potrà fare riferimento anche ad altri parametri caratterizzanti il comportamento deformativo della barriera, a condizione che gli stessi siano tutti previsti nelle prove effettuate conformemente alle norme della serie UNI EN 1317 o desumibili dalle stesse. Non potranno invece essere introdotti in progetto requisiti che richiedano prove addizionali non contemplate dalle norme della serie UNI EN 1317.

 A tal fine si rammenta che nei rapporti di prova e nei certificati di omologazione emessi ai sensi del D.M. 21.6.2004 è riportata sia la posizione laterale massima della barriera, sia la posizione laterale massima del veicolo.

 E’ opportuno chiarire nella circostanza che per "larghezza di lavoro", di cui al testo delle istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004, è da intendersi la "larghezza operativa", grandezza da non confondersi con lo "spazio di lavoro", introdotto invece all’articolo 6 delle medesime istruzioni tecniche e definito come larghezza del supporto a tergo della barriera. Quest’ultimo non deve a sua volta essere confuso con il massimo spostamento laterale del veicolo o della barriera.

 Al riguardo si precisa che:
   • il concetto di spazio di lavoro si riferisce alle condizioni di appoggio del veicolo in svio, affinché queste siano sufficienti per il corretto funzionamento della barriera, mentre la deformazione dinamica e la larghezza operativa si riferiscono al comportamento del sistema in presenza di un veicolo in svio anche nelle sue parti in elevazione;
   • lo spazio di lavoro è finalizzato a garantire, sulle strade esistenti, la larghezza cinematica necessaria al veicolo in svio ma non la resistenza meccanica in caso di impatto, per la quale il progettista delle installazioni deve prevedere una analisi della capacità del supporto, eventualmente adattando le modalità d’installazione così come previsto dall’art. 6 delle istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.06.2004.

 Lo spazio di lavoro è infatti definito come "larghezza del supporto a tergo della barriera" (illustrato nella figura 1) e si applica solo nel caso in cui le barriere non siano state già assoggettate a prova di crash in modo da simulare al meglio le condizioni di uso reale, ponendo un vuoto laterale nella zona di prova o conformando il terreno come un rilevato stradale. In questi casi è sufficiente il rispetto delle condizioni di prova. 

Figura 1
Illustrazione del concetto di "spazio di lavoro"
(Omissis)

 Particolare rilievo assumerà la verifica da parte del progettista dell’idoneità e della compatibilità tra l’infrastruttura stradale e la barriera di protezione, quale sistema complessivo che assolve a precisi compiti di tutela dai rischi derivanti dalla circolazione stradale.

 Per ciò che concerne la valutazione dello spazio di lavoro riportato nella norma è possibile un suo calcolo analitico riferito all’incidente abituale, accaduto nel tratto stradale da adeguare. Note le caratteristiche di detto incidente, il calcolo va effettuato con una procedura che consiste dapprima nel calcolo dinamico della barriera testata al vero con metodi propri della meccanica computazionale, modellando il veicolo, i materiali ed il terreno o supporto usati nelle prove al vero e validando secondo procedure consolidate i risultati del calcolo con quelli delle prove al vero. Questa analisi numerica del comportamento effettivo si ottiene parametrizzando i diversi elementi coinvolti ed attribuendo ad essi le caratteristiche compatibili con le loro resistenze e le azioni del crash reale, in modo da riottenere i risultati effettivi di quest’ultimo.

 Ottenuti questi dati e parametri descriventi al meglio il crash vero, si ripete poi il calcolo introducendo la variazione dell’incidente abituale sopra ricordato. L’energia di questo incidente dà luogo quindi alla "deformazione più probabile" cui fa riferimento la norma.

 Con questa energia la deformazione dinamica della barriera sarà ridotta rispetto a quella del crash per omologazione, con possibile riduzione conseguente degli spazi da destinare al loro montaggio sulla strada esistente. Si possono scegliere energie di impatto, corrispondenti ad altre categorie di incidentalità, qualora il progettista della sistemazione lo ritenga necessario. Comunque in ogni caso, i dati di incidentalità usati devono essere dichiarati.

 Ferme restando le prescrizioni normative esistenti in merito alla larghezza minima degli elementi marginali, ove vigenti, tale verifica, tanto per le strade nuove che per quelle esistenti, potrà essere svolta con i criteri analitici che si riterranno al riguardo più opportuni, valutando la congruenza tra le prestazioni offerte dalla barriera e le caratteristiche del supporto in sede progettuale. Nel caso di strade esistenti, questi criteri potranno anche contemplare il calcolo dello spazio di lavoro con riferimento all’incidente abituale. Le caratteristiche del supporto considerate in sede progettuale dovranno essere poi verificate nella successiva fase di installazione della barriera di sicurezza.


 
6. PROTEZIONE DEI PUNTI SINGOLARI

 L’art. 6 delle istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004 prevede che, sulle strade esistenti, i "punti singolari come pile di ponte senza spazio laterale o simili" possano essere protetti mediante "dispositivi in parte difformi da quelli indicati, curando in particolare la protezione dagli urti frontali su detti elementi strutturali".

 Le protezioni dei punti singolari sono definite dal progettista delle installazioni e non corrispondono necessariamente ad uno specifico prodotto omologato o assoggettato a prova di crash.

 Per la protezione di questi punti il progettista dovrà prevedere soluzioni specifiche per tener conto delle esigenze di sicurezza dell’infrastruttura, della sicurezza di terzi ed anche dei veicoli transitanti in direzione opposta, ad esempio nel caso di protezione di ostacoli già presenti all’interno dello spartitraffico, o in prossimità del margine stradale.


 
7. ADATTAMENTO DEI DISPOSITIVI ALLA SEDE STRADALE

 L’art. 6 delle istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004 ribadisce che "il progettista dovrà curare con specifici disegni esecutivi e relazioni di calcolo l’adattamento dei singoli dispositivi omologati o per i quali siano stati redatti rapporti di prova, alla sede stradale, con riferimento ai terreni di supporto, ai sistemi di fondazione, allo smaltimento delle acque, alle zone di approccio e di transizione". Ciò è in sintonia con quanto previsto dalla Direttiva 3065 del 25.8.2004.

 La citata direttiva richiama l’attenzione sul fatto che, in taluni casi, l’adattamento può comportare l’esigenza di modificare alcuni elementi del dispositivo; questa indicazione è valida specialmente per usi su strade esistenti, ma può essere necessaria anche su strade di nuova costruzione. Di conseguenza difformità rispetto all’omologazione o a quanto indicato nei rapporti di prova potranno aversi nel progetto dei dispositivi installati. Ad esempio per quanto attiene ai montanti, ai sistemi di ancoraggio ed alle zone di transizione tra dispositivi diversi. Le modifiche in ogni caso dovranno essere adottate affinché il sistema barriera/supporto sia in grado di offrire prestazioni analoghe a quelle osservate durante la prova di "crash" e non per modificarne le modalità di funzionamento.

 In caso di impiego di dispositivi installati su cordoli o terreni con dimensioni e/o caratteristiche meccaniche diverse rispetto a quelle di prova, il progettista della installazione, così come previsto dall’art. 6 del D.M. 21.06.2004, dovrà dimostrare con specifici disegni esecutivi e relazioni di calcolo, e sotto la propria responsabilità, che dette dimensioni, caratteristiche meccaniche e/o eventuali differenti posizionamenti della barriera garantiscono condizioni di funzionamento sostanzialmente analoghe a quelle delle prove di crash. La modalità di installazione (ancorata su cordolo o infissa in terra) dovrà essere quella adottata nelle prove di crash con la sola eccezione delle zone di transizione, di ancoraggio e nei punti singolari, dove il progettista potrà adottare soluzioni difformi da quelle di crash.


 
8. TERMINALI ED ATTENUATORI D’URTO

 Il D.M. 21.6.2004 definisce i "terminali semplici" come "normali elementi iniziali e finali di una barriera di sicurezza" che "possono essere sostituiti o integrati alle estremità di barriere laterali con terminali speciali testati secondo UNI ENV 1317-4, di tipo omologato."

 I terminali semplici sono elementi conformati geometricamente sulla base delle indicazioni fornite dal progettista delle installazioni, per i quali non è prevista una prova d’urto. In assenza di specifiche indicazioni da parte del progettista delle installazioni, i terminali semplici dovranno essere quelli indicati dal produttore all’atto della richiesta di omologazione, ai sensi dell’art. 7, lettera b), delle istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004. Per i dispositivi non ancora omologati l’Ente appaltante dovrà chiedere al produttore la documentazione grafica prevista dalla predetta norma.

 Giova rammentare che i terminali semplici non devono essere confusi con gli ancoraggi terminali che possono essere utilizzati in fase di prova, secondo quanto previsto dall’art. 5.3.2 della norma UNI EN 1317-2. Questi ultimi hanno lo scopo di sviluppare tensione ma non di assicurare soddisfacenti condizioni di sicurezza derivanti dall’eventuale impatto contro il terminale e, se usati nella prova, devono essere impiegati anche nelle installazioni su strada, laddove il progettista delle installazioni su strada non preveda soluzioni alternative per garantire il corretto funzionamento delle barriere.

 Per quanto attiene agli attenuatori d'urto previsti dall'art. 6 delle istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004 si fa presente che per cuspide si intende il punto in cui divergono due traiettorie percorse nello stesso verso. Sono escluse le cuspidi che si formano tra due rampe con limite di velocità (inferiore) 40 km/h.


 
9. CONFORMITÀ DEI DISPOSITIVI DI RITENUTA NELLE COSTRUZIONI STRADALI E LORO INSTALLAZIONE

 L'art. 5 delle istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004 prevede che:
 "Per la produzione di serie delle barriere di sicurezza e degli altri dispositivi di ritenuta, i materiali ed i componenti dovranno avere le caratteristiche costruttive descritte nel progetto del prototipo allegato ai certificati di omologazione, nei limiti delle tolleranze previste dalle norme vigenti o dal progettista del dispositivo all'atto della richiesta di omologazione.
 All'atto dell'impiego dei dispositivi di ritenuta nelle costruzioni stradali, le caratteristiche costitutive dei materiali impiegati dovranno essere certificate mediante prove di laboratorio.
 Dovranno inoltre essere allegate le corrispondenti dichiarazioni di conformità dei produttori alle relative specifiche tecniche di prodotto."

 Per quanto riguarda la conformità alle specifiche del progetto, la norma prescrive che le tolleranze sulle caratteristiche dei materiali dovranno essere quelle previste dalle norme vigenti, mentre le tolleranze geometriche e di altro tipo ammesse dovranno essere definite dal progettista del dispositivo nel manuale per l'utilizzo e l'installazione del manufatto.

 Il predetto manuale, previsto dall'art. 7, lettera c), delle istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004 dovrà essere acquisito prima dell'installazione del dispositivo.

 Le prove sui materiali dovranno essere sempre allegate alla fornitura dei dispositivi di ritenuta; saranno certificate dal medesimo costruttore in quanto provvisto di un sistema di controllo della produzione certificato ai sensi delle norme della serie UNI EN ISO 9000.

 L'articolo 5 del D.M. 21.6.2004 prevede che "alla fine della posa in opera dei dispositivi, dovrà essere effettuata una verifica in contraddittorio da parte della ditta installatrice, nella persona del suo Responsabile Tecnico, e da parte del committente, nella persona del direttore lavori anche in riferimento ai materiali costituenti il dispositivo. Tale verifica dovrà risultare da un certificato di corretta posa in opera sottoscritto dalle parti."

 A seguito della avvenuta dichiarazione di conformità del prodotto da parte del produttore, la verifica da parte del responsabile tecnico e del Direttore Lavori consisterà in un controllo della conformità del prodotto con quanto dichiarato e delle modalità di installazione con quanto indicato nel progetto dell'installazione stessa e nelle eventuali prescrizioni aggiuntive effettuate per iscritto dalla Direzione Lavori e si concretizzerà nel certificato di corretta posa in opera.

 Quanto sopra tenuto conto di quanto riportato anche nei rapporti di prova e nelle raccomandazioni ed istruzioni presenti nel manuale per l'utilizzo e l'installazione del dispositivo di ritenuta.


  
   IL DIRETTORE GENERALE
   dott. ing. Sergio Dondolini

 
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