MINISTERO DELLE
INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Dipartimento per i Trasporti, la Navigazione ed i Sistemi
Informativi e Statistici
Direzione generale per la sicurezza stradale
Circolare prot. n. 62032
OGGETTO: Uniforme
applicazione delle norme in materia di progettazione,
omologazione e impiego dei dispositivi di ritenuta nelle
costruzioni stradali.
1. PREMESSA
Nel corso degli anni, a
decorrere dall'entrata in vigore del D.M. 223 del 18.2.1992
recante le "Istruzioni tecniche sulla progettazione,
omologazione ed impiego delle barriere di sicurezza stradale" e
delle sue modificazioni ed integrazioni, sono pervenute a questo
Ministero numerose richieste di informazioni e di chiarimenti
interpretativi relativi alla applicazione delle norme relative
alla progettazione, omologazione ed impiego dei dispositivi di
ritenuta nelle costruzioni stradali.
La presente circolare intende
chiarire i dubbi espressi e richiamare l'attenzione degli Enti
proprietari, Concessionari e Gestori di strade, di seguito
denominati Enti proprietari, dei progettisti, dei produttori e
degli installatori di barriere di sicurezza stradali
sull'importanza della uniforme applicazione della normativa
vigente, senza entrare nel merito di applicazione della
marcatura CE, che sarà successivamente regolamentata e chiarita.
2. NORME DI RIFERIMENTO
La presente circolare si
riferisce alla seguente normativa vigente:
• D.M. 18.2.1992 n. 223 - Recante le Istruzioni tecniche
sulla progettazione, omologazione ed impiego delle barriere di
sicurezza stradale;
• D.M. 3.6.1998 - Recante le Istruzioni tecniche sulla
progettazione, omologazione ed impiego delle barriere di
sicurezza stradale (con esclusione delle istruzioni tecniche
sostituite dalle istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004
n. 2367);
• D.M. 21.6.2004 n. 2367 - Recante le Istruzioni tecniche per
la progettazione, l’omologazione e l’impiego dei dispositivi di
ritenuta nelle costruzioni stradali;
• UNI EN 1317 - Barriere di sicurezza stradali: parti 1, 2, 3
e 4;
• UNI CEI EN ISO/IEC 17025 - Requisiti generali per la
competenza dei laboratori di prova e di taratura;
• D.M. 5.11.2001 - Norme funzionali e geometriche per la
costruzione delle strade e s.m.i.;
• D.M. 19.4.2006 - Norme funzionali e geometriche per la
costruzione delle intersezioni stradali.
Si ritiene inoltre opportuno
segnalare anche le circolari più recenti che sono state emanate
nel settore dei dispositivi di ritenuta, che risultano:
• Circolare 25.8.2004 n. 3065 - Direttiva sui criteri di
progettazione, installazione, verifica e manutenzione dei
dispositivi di ritenuta nelle costruzioni stradali (per quanto
ancora applicabile);
• Circolare 20.9.2005 n. 3533 - Direttive inerenti le
procedure ed i documenti necessari per le domande di
omologazione dei dispositivi di ritenuta nelle costruzioni
stradali ai sensi del D.M. 21.06.04 (per quanto ancora
applicabile);
• Circolare 15.11.2007 n. 104862 - Scadenza della validità
delle omologazioni delle barriere di sicurezza rilasciate ai
sensi delle norme antecedenti il D.M. 21.6.2004 (per quanto
ancora applicabile).
La presente circolare, quindi,
chiarisce anche quali siano le parti delle citati circolari
ancora applicabili.
3. CAMPO DI APPLICAZIONE DEL D.M.
n. 223/1992 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI ED INTEGRAZIONI
Il campo di applicazione della
normativa in materia di progettazione, omologazione e impiego
dei dispositivi di ritenuta nelle costruzioni stradali è
definito dall’art. 2 comma 1 del D.M. 223/1992 e riguarda i
progetti esecutivi relativi alle strade ad uso pubblico
extraurbane ed urbane che hanno velocità di progetto maggiore o
uguale a 70 km/h. Sono espressamente escluse dal campo di
applicazione della norma in argomento le progettazioni inerenti
le strade extraurbane ed urbane con velocità di progetto
inferiore a 70 km/h.
Si rammenta che sotto il profilo
regolamentare la velocità di progetto di un arco stradale deve
essere determinata in relazione alla classe funzionale,
riportata all’art. 2 comma 2 del D.Lgs. 285/1992 "Nuovo Codice
della Strada" ed alle sue caratteristiche planimetriche (raggio
di curvatura), indipendentemente dalla eventuale imposizione di
un limite di velocità sul tratto stradale oggetto di intervento.
Nel caso di interventi da realizzare su strade esistenti, la
velocità di progetto dovrà essere calcolata per assimilazione,
sulla base di quanto previsto dal D.M. 5.11.2001 "Norme
funzionali e geometriche per la costruzione delle strade" e
s.m.i. per la medesima classe funzionale e raggio planimetrico
della tratta.
Sull’argomento si rammenta
infine che, ai sensi dell’art. 3 comma 5 delle norme allegate al
D.M. 5.11.2001 e s.m.i. potranno essere considerate "Strade
extraurbane locali a destinazione particolare" non
caratterizzabili per mezzo del parametro "velocità di progetto"
solo le strade agricole, forestali, consortili e simili per le
quali il progettista deve prevedere, "per il contenimento delle
velocità praticate" (e quindi delle velocità effettivamente
tenute dai veicoli), opportuni accorgimenti sia costruttivi che
di segnaletica.
Ai sensi dell’art. 2 del D.M.
223/1992 rientrano nel campo di applicazione della norma i
progetti che riguardano:
• la costruzione di nuovi tronchi stradali;
• l’adeguamento di tratti significativi di tronchi stradali
esistenti ivi compresi gli specifici interventi di adeguamento
dei soli dispositivi di ritenuta;
• la ricostruzione e riqualificazione di parapetti di ponti e
viadotti situati in posizione pericolosa per l’ambiente esterno
alla strada o per l’utente stradale, anche se non inseriti
nell’adeguamento di un intero tronco; che, per la parte
attinente l’impiego dei dispositivi di ritenuta, devono essere
redatti da un ingegnere e devono seguire i criteri dettati dalle
istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004 che sostituiscono
e aggiornano tutte le istruzioni tecniche precedenti.
Le disposizioni del richiamato
articolo 2 sono limitate alla progettazione e non costituiscono
pertanto un criterio di verifica delle condizioni di efficienza
tecnica delle strade in esercizio che non siano oggetto di uno
degli interventi di cui al periodo precedente. Analogamente le
disposizioni di cui al D.M. 223/1992 e successive modificazioni
non si applicano nel caso di ripristini di danni localizzati su
barriere già in esercizio. Gli interventi di manutenzione
straordinaria finalizzate all’adeguamento dei dispositivi di
ritenuta a più elevati standard di sicurezza non possono essere
ritenuti "ripristini di danni localizzati" e rientrano pertanto
nel campo di applicazione della norma, indipendentemente dalla
loro estensione.
Nei progetti relativi a strade
ad uso pubblico che non rientrano invece nel campo di
applicazione delle norme richiamate, tenuto conto delle
specifiche condizioni locali in termini di configurazione dello
stato dei luoghi e di circolazione, qualora sia previsto anche
un intervento sui margini o sui dispositivi di ritenuta, il
progettista dovrà comunque valutare le situazioni ove si rendono
necessarie protezioni in relazione alla presenza od
all’insorgenza di condizioni di potenziale pericolo.
Per impieghi in luoghi
sottoposti a vincoli a tutela di bellezze naturali e
paesaggistici il progetto potrà prevedere adattamenti di tipo
estetico quali colori, rivestimenti e simili, per
l’armonizzazione con i luoghi, anche prevedendo variazioni ai
dispositivi disponibili che non ne modifichino la funzionalità.
4. TIPOLOGIA DI BARRIERA,
DESTINAZIONE, CLASSE MINIMA RICHIESTA E SVILUPPI MINIMI DELLE
BARRIERE
L’art. 3 delle istruzioni
tecniche allegate al D.M. 21.6.2004 indica che le protezioni
dovranno riguardare almeno:
• "i margini di tutte le opere d'arte all'aperto quali ponti,
viadotti, ponticelli, sovrappassi e muri di sostegno della
carreggiata, indipendentemente dalla loro estensione
longitudinale e dall'altezza dal piano di campagna (... omissis
....);
• lo spartitraffico ove presente;
• il margine laterale stradale nelle sezioni in rilevato dove
il dislivello tra il colmo dell’arginello ed il piano di
campagna è maggiore o uguale a 1 m; la protezione è necessaria
per tutte le scarpate aventi pendenza maggiore o uguale a 2/3.
Nei casi in cui la pendenza della scarpata sia inferiore a 2/3,
la necessità di protezione dipende dalla combinazione della
pendenza e dell'altezza della scarpata, tenendo conto delle
situazioni di potenziale pericolosità a valle della scarpata
(presenza di edifici, strade, ferrovie, depositi di materiale
pericoloso o simili);
• gli ostacoli fissi (frontali o laterali) che potrebbero
costituire un pericolo per gli utenti della strada in caso di
urto (... omissis ....)."
L’ubicazione delle protezioni su
strada risulta però spesso indipendente dalla tipologia di
dispositivo da adottare.
A titolo di esempio la
protezione di un bordo laterale può essere realizzata con una
barriera del tipo "per opera d’arte" se si prevede
l’installazione della barriera su cordolo in cemento armato.
Analogamente, sempre a titolo di esempio, a protezione di uno
spartitraffico potrà essere previsto l’impiego di due barriere
del tipo "per opera d’arte" o per bordo laterale a condizione
che lo spazio a disposizione tra le due barriere sia compatibile
con l’idoneo funzionamento di ciascun filare di barriere.
Nelle sezioni di rilevato dove
il dislivello tra il colmo dell’arginello ed il piano campagna
risulta superiore o uguale ad 1 metro e con pendenza della
scarpata superiore o uguale a 2/3 i margini laterali devono
essere obbligatoriamente protetti impiegando barriere di
sicurezza stradale. Negli altri casi, ossia in presenza di
sezioni stradali con dislivello tra colmo dell’arginello e piano
campagna inferiore ad 1 metro, oppure con pendenza della
scarpata inferiore a 2/3, sarà responsabilità del progettista
valutare la necessità o meno di dotare il margine laterale di
barriera stradale, in funzione, ad esempio, della geometria
della strada, dell’altezza del rilevato e dell’eventuale
presenza di ostacoli in prossimità della sede stradale e/o della
scarpata.
Si ricorda comunque che il
criterio di scelta da tenere presente è l’effettiva pericolosità
di una fuoriuscita nei punti ricordati, in quanto l’urto su di
un dispositivo è comunque potenzialmente traumatico e da
evitare, se non necessario, per non introdurre un elemento di
ulteriore pericolo.
Per quanto attiene alla classe
minima della protezione da adottare, di cui alla Tabella A delle
istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004, si richiama
l’attenzione sul fatto che la destinazione "Barriere bordo
ponte" si riferisce solo ad "opere di luce superiore a 10 metri;
per luci minori sono equiparate al bordo laterale",
indipendentemente dalla loro altezza sul piano campagna. I muri
di sostegno, che sono evidentemente opere di luce nulla, sono
pertanto da equiparare anch’essi al bordo laterale,
indipendentemente dall’altezza sul piano campagna e dalla loro
estensione.
In ogni caso i muri e le opere
d’arte, indipendentemente dalla loro luce e dalla loro altezza
sul piano campagna, devono essere sempre protetti con barriere
di classe non inferiore ad H2.
Si evidenzia che il criterio
definito dalla norma si riferisce alla luce dell’opera e non
alla lunghezza dell’eventuale cordolo soprastante, che può
interessare anche eventuali muri andatori. Nel caso in cui la
barriera sia da installare su cordolo in cemento armato, la
tipologia di barriera dovrà essere del tipo "da bordo opera
d’arte" sebbene della classe corrispondente al bordo laterale,
quindi già provata su cordolo in cemento armato (non una
barriera provata su terra, installata successivamente su cordolo
in cemento armato, circostanza che ne modificherebbe in modo
sostanziale il funzionamento).
Il D.M. 21.6.2004 non prevede
invece l’obbligo di protezione nel caso di sezione in trincea o
di muri di controripa. In queste situazioni il progettista dovrà
valutare caso per caso le situazioni in cui risulti preferibile
l’aggiunta di una protezione in funzione della conformazione
della sezione (considerando, ad esempio, la conformazione della
cunetta di drenaggio anche in relazione a quanto prescritto dal
D.M. 5.11.2001 e s.m.i.) e della eventuale presenza di ostacoli.
Analogamente non sono prescritte specifiche protezioni per le
sezioni in galleria dove il profilo redirettivo richiesto dal
D.M. 6792 del 5.11.2001 e s.m.i., per le gallerie realizzate su
strade nuove, rappresenta, nella configurazione riportata, una
mera configurazione geometrica dell’elemento marginale e non una
barriera omologata o provata conformemente alle norme della
serie UNI EN 1317. Viceversa la sezione iniziale di una galleria
o di un muro di controripa, se non opportunamente sagomata (per
evitare il possibile urto frontale), dovrà essere protetta ai
sensi dell’art. 3 delle istruzioni tecniche allegate al D.M.
21.6.2004.
Tali condizioni rappresentano le
minime ammesse dalla norma e, come richiamato dall’art. 6 delle
istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004, "ove reputato
necessario, il progettista potrà utilizzare dispositivi della
classe superiore a quella minima indicata". È bene però
rammentare che l’adozione in progetto di protezioni con classi
superiori alle minime richieste dalla norma deve essere
opportunamente giustificata dal progettista in funzione
dell’effettivo stato dei luoghi, in quanto all’aumentare della
classe aumenta, in generale, il livello di severità d’urto sugli
occupanti dei veicoli leggeri ed un incremento di classe non
garantisce comunque un incremento di sicurezza.
Si rammenta infine che la norma
UNI EN 1317-2 chiarisce che "Se un’installazione è stata
sottoposta a prova con esito positivo a un dato livello di
contenimento, si suppone che abbia soddisfatto le condizioni di
prova di un livello minore eccezione fatta per N1 e N2 che non
comprendono T3". Una barriera omologata o che abbia superato le
prove conformemente alla UNI EN 1317-2 in una data classe potrà
essere installata anche nei casi in cui sia prevista in progetto
una barriera di classe inferiore previa verifica del rispetto
dei requisiti prestazionali fissati in progetto (con particolare
riguardo alla severità dell’urto).
Ai sensi dell’art. 6 delle
istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004 "Laddove non sia
possibile installare un dispositivo con una lunghezza minima
pari a quella effettivamente testata (per esempio ponti o
ponticelli aventi lunghezze in alcuni casi sensibilmente
inferiori all’estensione minima del dispositivo), sarà possibile
installare una estensione di dispositivo inferiore a quella
effettivamente testata, provvedendo però a raggiungere la
estensione minima attraverso un dispositivo diverso (per esempio
testato con pali infissi nel terreno), ma di pari classe di
contenimento (o di classe ridotta - H3 - nel caso di
affiancamento a barriere bordo ponte di classe H4) garantendo
inoltre la continuità strutturale. L’estensione minima che il
tratto di dispositivo "misto" dovrà raggiungere sarà costituita
dalla maggiore delle lunghezze prescritte nelle omologazioni dei
due tipi di dispositivo da impiegare".
Si richiama l’attenzione sul
fatto che la previsione dell’adozione di una barriera di classe
ridotta - H3 - è limitata al solo caso in cui la barriera da
bordo ponte sia di classe H4. In tutti gli altri casi la
barriera da bordo ponte e la barriera da bordo laterale con cui
è realizzato il sistema misto dovranno essere di pari classe. Le
due barriere dovranno in ogni caso garantire la richiesta
continuità strutturale. L’accoppiamento tra barriere aventi
caratteristiche strutturalmente diverse tali da non garantire la
continuità strutturale prevista per il sistema misto è
consentita, eventualmente, al di fuori dell’estensione minima
della protezione dell’ostacolo, prevista dall’art. 3 delle
istruzioni tecniche.
Il citato art. 3 delle
istruzioni tecniche allegate al D.M. indica che "Le protezioni
dovranno in ogni caso essere effettuate per una estensione
almeno pari a quella indicata nel certificato di omologazione,
ponendone circa due terzi prima dell’ostacolo
(....omissis....)". Si richiama l’attenzione sul fatto che
l’estensione minima pari a quella indicata nel certificato di
omologazione ha valore prescrittivo mentre il posizionamento di
due terzi prima ha carattere indicativo. Il progettista può
stabilire lo sviluppo di barriera da porre a monte
dell’ostacolo, tenendo conto delle modalità con cui sono state
effettuate le prove sulla barriera per l’omologazione e della
morfologia della strada.
Nelle strade a doppio senso di
marcia, dove non è possibile individuare il tratto "prima
dell’ostacolo", le medesime protezioni andranno realizzate da
entrambi i lati dell’ostacolo, fermo restando il vincolo
dell’estensione minima di barriera da installare. Nelle strade a
senso unico di marcia la barriera dovrà in tutti i casi essere
estesa oltre l’ultimo punto da proteggere, in modo da assicurare
che le condizioni di funzionamento siano soddisfacenti in tutto
il tratto di interesse.
5. CORRETTA APPLICAZIONE DELLA
LARGHEZZA OPERATIVA E DELLO SPAZIO DI LAVORO NELL’IMPIEGO SU
STRADA DELLE BARRIERE DI SICUREZZA
La definizione di larghezza
operativa recata dalla norma UNI EN 1317-2:2007 è stata oggetto
di una non uniforme interpretazione da parte degli operatori del
settore.
Sulla base di un parere espresso
in merito dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, in attesa
della revisione della norma UNI EN 1317-2, nei certificati di
omologazione la classe di larghezza operativa è assegnata
applicando il criterio di considerare, in fase dinamica, il
valore maggiore tra la posizione laterale massima della barriera
e quella del veicolo. La classe di larghezza operativa è quindi
determinata sulla base del massimo ingombro trasversale del
sistema, dal fronte indeformato lato traffico del dispositivo al
punto più estremo del dispositivo ovvero del veicolo pesante,
rilevato durante le verifiche e prove.
La predetta circostanza, in
taluni casi, può configurarsi come un’interpretazione
restrittiva rispetto alla capacità di assolvere alle funzioni di
sicurezza richieste, risultando conseguentemente, in sede di
progettazione e di installazione per il tratto stradale in
valutazione, a volte limitativa rispetto ad un efficace e non
ridondante impiego delle barriere di sicurezza in quanto la
dimensione in altezza dei veicoli usati nelle prove non è una
caratteristica univocamente fissata per la caratterizzazione dei
veicoli in svio.
Al riguardo si ravvisa peraltro
che la norma UNI EN 1317-2 indica che "la deflessione dinamica e
la larghezza operativa permettono di determinare le condizioni
per l’installazione di ogni barriera di sicurezza, nonché di
definire le distanze da creare davanti agli ostacoli per
permettere alla barriera di fornire prestazioni soddisfacenti."
La prescrizione anzidetta correla quindi le condizioni per
l’installazione e la valutazione delle distanze di sicurezza,
alla posizione presumibile degli eventuali ostacoli fissi o
mobili, nonché alle prestazioni della barriera, tenuto conto
dello stato dei luoghi e delle condizioni di circolazione.
Pertanto, nella progettazione e
nelle successive verifiche delle condizioni di installazione su
strada delle opere progettate, appare più opportuno riferirsi,
piuttosto che alla classe di larghezza operativa, direttamente
alla deflessione dinamica della barriera oppure alla posizione
laterale estrema del veicolo o della barriera, a seconda della
necessità.
In sintesi, al progettista delle
installazioni è demandato il compito di stabilire la distanza
minima al di sotto della quale non si deve trovare o collocare
un dato ostacolo, rispetto al fronte della barriera, affinché le
caratteristiche di deformazione della barriera forniscano
prestazioni soddisfacenti assicurando contemporaneamente
accettabili condizioni di sicurezza in termini di contenimento
del veicolo in svio, limitazione della severità dell’urto sugli
occupanti, e limitazione dei possibili effetti indotti dall’urto
su eventuali elementi esterni alla sede stradale (in relazione,
ad esempio, alla possibile caduta di parti dell’ostacolo
interessato dall’urto all’esterno della sede stradale).
In presenza di ostacoli o di
altri elementi di possibile interazione con la deformazione
della barriera posti all’interno della larghezza operativa della
barriera stessa, determinata con riferimento alla classe di
contenimento prevista in progetto, il progettista dovrà quindi
verificare, almeno:
• che non si modifichino le severità d’urto per gli occupanti
dei veicoli leggeri nelle condizioni corrispondenti alle prove
TB11 e TB32 (ove prevista) di cui alla UNI EN 1317-2;
• le conseguenze dell’urto con veicolo pesante sull’elemento
posto all’interno della larghezza operativa. Il veicolo pesante
da considerare è quello corrispondente alla classe di protezione
prevista dalla norma, indipendentemente dalla eventuale scelta
progettuale di elevare la classe al fine di contenere le
deformazioni dinamiche o per altre motivate considerazioni
tecniche.
A tale scopo il progettista
potrà prendere in considerazione, ad esempio:
• le caratteristiche geometriche e strutturali degli
ostacoli;
• le caratteristiche dell’ambiente esterno all’infrastruttura
stradale;
• la distribuzione probabilistica degli eventi per valutare
le effettive condizioni di esercizio della barriera.
Nel caso di nuove opere, il
progettista deve preliminarmente determinare se sussistano le
condizioni di sostenibilità di una soluzione tecnica che preveda
la rimozione dell’interazione con la barriera di sicurezza.
Si consideri ad esempio il caso
in cui sia presente un ostacolo con caratteristiche e/o
dimensioni tali da non poter essere in nessun modo interessato
dal moto del veicolo durante l’urto, come nel caso di ostacoli
di altezza pari o inferiore all’altezza della barriera (come nel
caso di accoppiamento di due barriere nello spartitraffico). E’
sufficiente nella circostanza anzidetta effettuare le necessarie
valutazioni sulla base della posizione laterale massima della
barriera; non si rende invece necessaria una limitazione della
larghezza operativa, che avrebbe il solo effetto di limitare in
modo ingiustificato la gamma dei possibili dispositivi da
impiegare nell’installazione su strada.
Al contrario nel caso in cui la
barriera sia posta a protezione dei sostegni di un pannello a
messaggio variabile ubicato sopra la carreggiata, si dovrà
considerare, nel verificare le condizioni di installazione, sia
la posizione laterale massima dinamica del veicolo che quella
della barriera al fine di controllare anche gli effetti del
possibile impatto del veicolo contro la struttura.
Per quanto sopra illustrato,
poiché la larghezza operativa, come previsto dalla normativa
italiana ed europea, è definita in relazione al sistema
veicolo-barriera, si invitano gli Enti proprietari, Progettisti,
Produttori e Installatori di barriere di Sicurezza stradale, a
rendere questo parametro discriminatorio (specialmente durante
la predisposizione dei bandi di gara) soltanto in quei casi ove
effettivamente lo richiedano le condizioni di esercizio della
strada.
Come previsto dalla normativa
vigente il progettista potrà fare riferimento anche ad altri
parametri caratterizzanti il comportamento deformativo della
barriera, a condizione che gli stessi siano tutti previsti nelle
prove effettuate conformemente alle norme della serie UNI EN
1317 o desumibili dalle stesse. Non potranno invece essere
introdotti in progetto requisiti che richiedano prove
addizionali non contemplate dalle norme della serie UNI EN 1317.
A tal fine si rammenta che nei
rapporti di prova e nei certificati di omologazione emessi ai
sensi del D.M. 21.6.2004 è riportata sia la posizione laterale
massima della barriera, sia la posizione laterale massima del
veicolo.
E’ opportuno chiarire nella
circostanza che per "larghezza di lavoro", di cui al testo delle
istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004, è da intendersi
la "larghezza operativa", grandezza da non confondersi con lo
"spazio di lavoro", introdotto invece all’articolo 6 delle
medesime istruzioni tecniche e definito come larghezza del
supporto a tergo della barriera. Quest’ultimo non deve a sua
volta essere confuso con il massimo spostamento laterale del
veicolo o della barriera.
Al riguardo si precisa che:
• il concetto di spazio di lavoro si riferisce alle
condizioni di appoggio del veicolo in svio, affinché queste
siano sufficienti per il corretto funzionamento della barriera,
mentre la deformazione dinamica e la larghezza operativa si
riferiscono al comportamento del sistema in presenza di un
veicolo in svio anche nelle sue parti in elevazione;
• lo spazio di lavoro è finalizzato a garantire, sulle strade
esistenti, la larghezza cinematica necessaria al veicolo in svio
ma non la resistenza meccanica in caso di impatto, per la quale
il progettista delle installazioni deve prevedere una analisi
della capacità del supporto, eventualmente adattando le modalità
d’installazione così come previsto dall’art. 6 delle istruzioni
tecniche allegate al D.M. 21.06.2004.
Lo spazio di lavoro è infatti
definito come "larghezza del supporto a tergo della barriera"
(illustrato nella figura 1) e si applica solo nel caso in cui le
barriere non siano state già assoggettate a prova di crash in
modo da simulare al meglio le condizioni di uso reale, ponendo
un vuoto laterale nella zona di prova o conformando il terreno
come un rilevato stradale. In questi casi è sufficiente il
rispetto delle condizioni di prova.
Figura 1
Illustrazione del concetto di "spazio di lavoro"
(Omissis)
Particolare rilievo assumerà la
verifica da parte del progettista dell’idoneità e della
compatibilità tra l’infrastruttura stradale e la barriera di
protezione, quale sistema complessivo che assolve a precisi
compiti di tutela dai rischi derivanti dalla circolazione
stradale.
Per ciò che concerne la
valutazione dello spazio di lavoro riportato nella norma è
possibile un suo calcolo analitico riferito all’incidente
abituale, accaduto nel tratto stradale da adeguare. Note le
caratteristiche di detto incidente, il calcolo va effettuato con
una procedura che consiste dapprima nel calcolo dinamico della
barriera testata al vero con metodi propri della meccanica
computazionale, modellando il veicolo, i materiali ed il terreno
o supporto usati nelle prove al vero e validando secondo
procedure consolidate i risultati del calcolo con quelli delle
prove al vero. Questa analisi numerica del comportamento
effettivo si ottiene parametrizzando i diversi elementi
coinvolti ed attribuendo ad essi le caratteristiche compatibili
con le loro resistenze e le azioni del crash reale, in modo da
riottenere i risultati effettivi di quest’ultimo.
Ottenuti questi dati e parametri
descriventi al meglio il crash vero, si ripete poi il calcolo
introducendo la variazione dell’incidente abituale sopra
ricordato. L’energia di questo incidente dà luogo quindi alla
"deformazione più probabile" cui fa riferimento la norma.
Con questa energia la
deformazione dinamica della barriera sarà ridotta rispetto a
quella del crash per omologazione, con possibile riduzione
conseguente degli spazi da destinare al loro montaggio sulla
strada esistente. Si possono scegliere energie di impatto,
corrispondenti ad altre categorie di incidentalità, qualora il
progettista della sistemazione lo ritenga necessario. Comunque
in ogni caso, i dati di incidentalità usati devono essere
dichiarati.
Ferme restando le prescrizioni
normative esistenti in merito alla larghezza minima degli
elementi marginali, ove vigenti, tale verifica, tanto per le
strade nuove che per quelle esistenti, potrà essere svolta con i
criteri analitici che si riterranno al riguardo più opportuni,
valutando la congruenza tra le prestazioni offerte dalla
barriera e le caratteristiche del supporto in sede progettuale.
Nel caso di strade esistenti, questi criteri potranno anche
contemplare il calcolo dello spazio di lavoro con riferimento
all’incidente abituale. Le caratteristiche del supporto
considerate in sede progettuale dovranno essere poi verificate
nella successiva fase di installazione della barriera di
sicurezza.
6. PROTEZIONE DEI PUNTI SINGOLARI
L’art. 6 delle istruzioni
tecniche allegate al D.M. 21.6.2004 prevede che, sulle strade
esistenti, i "punti singolari come pile di ponte senza spazio
laterale o simili" possano essere protetti mediante "dispositivi
in parte difformi da quelli indicati, curando in particolare la
protezione dagli urti frontali su detti elementi strutturali".
Le protezioni dei punti
singolari sono definite dal progettista delle installazioni e
non corrispondono necessariamente ad uno specifico prodotto
omologato o assoggettato a prova di crash.
Per la protezione di questi
punti il progettista dovrà prevedere soluzioni specifiche per
tener conto delle esigenze di sicurezza dell’infrastruttura,
della sicurezza di terzi ed anche dei veicoli transitanti in
direzione opposta, ad esempio nel caso di protezione di ostacoli
già presenti all’interno dello spartitraffico, o in prossimità
del margine stradale.
7. ADATTAMENTO DEI DISPOSITIVI
ALLA SEDE STRADALE
L’art. 6 delle istruzioni
tecniche allegate al D.M. 21.6.2004 ribadisce che "il
progettista dovrà curare con specifici disegni esecutivi e
relazioni di calcolo l’adattamento dei singoli dispositivi
omologati o per i quali siano stati redatti rapporti di prova,
alla sede stradale, con riferimento ai terreni di supporto, ai
sistemi di fondazione, allo smaltimento delle acque, alle zone
di approccio e di transizione". Ciò è in sintonia con quanto
previsto dalla Direttiva 3065 del 25.8.2004.
La citata direttiva richiama
l’attenzione sul fatto che, in taluni casi, l’adattamento può
comportare l’esigenza di modificare alcuni elementi del
dispositivo; questa indicazione è valida specialmente per usi su
strade esistenti, ma può essere necessaria anche su strade di
nuova costruzione. Di conseguenza difformità rispetto
all’omologazione o a quanto indicato nei rapporti di prova
potranno aversi nel progetto dei dispositivi installati. Ad
esempio per quanto attiene ai montanti, ai sistemi di ancoraggio
ed alle zone di transizione tra dispositivi diversi. Le
modifiche in ogni caso dovranno essere adottate affinché il
sistema barriera/supporto sia in grado di offrire prestazioni
analoghe a quelle osservate durante la prova di "crash" e non
per modificarne le modalità di funzionamento.
In caso di impiego di
dispositivi installati su cordoli o terreni con dimensioni e/o
caratteristiche meccaniche diverse rispetto a quelle di prova,
il progettista della installazione, così come previsto dall’art.
6 del D.M. 21.06.2004, dovrà dimostrare con specifici disegni
esecutivi e relazioni di calcolo, e sotto la propria
responsabilità, che dette dimensioni, caratteristiche meccaniche
e/o eventuali differenti posizionamenti della barriera
garantiscono condizioni di funzionamento sostanzialmente
analoghe a quelle delle prove di crash. La modalità di
installazione (ancorata su cordolo o infissa in terra) dovrà
essere quella adottata nelle prove di crash con la sola
eccezione delle zone di transizione, di ancoraggio e nei punti
singolari, dove il progettista potrà adottare soluzioni difformi
da quelle di crash.
8. TERMINALI ED ATTENUATORI D’URTO
Il D.M. 21.6.2004 definisce i
"terminali semplici" come "normali elementi iniziali e finali di
una barriera di sicurezza" che "possono essere sostituiti o
integrati alle estremità di barriere laterali con terminali
speciali testati secondo UNI ENV 1317-4, di tipo omologato."
I terminali semplici sono
elementi conformati geometricamente sulla base delle indicazioni
fornite dal progettista delle installazioni, per i quali non è
prevista una prova d’urto. In assenza di specifiche indicazioni
da parte del progettista delle installazioni, i terminali
semplici dovranno essere quelli indicati dal produttore all’atto
della richiesta di omologazione, ai sensi dell’art. 7, lettera
b), delle istruzioni tecniche allegate al D.M. 21.6.2004. Per i
dispositivi non ancora omologati l’Ente appaltante dovrà
chiedere al produttore la documentazione grafica prevista dalla
predetta norma.
Giova rammentare che i terminali
semplici non devono essere confusi con gli ancoraggi terminali
che possono essere utilizzati in fase di prova, secondo quanto
previsto dall’art. 5.3.2 della norma UNI EN 1317-2. Questi
ultimi hanno lo scopo di sviluppare tensione ma non di
assicurare soddisfacenti condizioni di sicurezza derivanti
dall’eventuale impatto contro il terminale e, se usati nella
prova, devono essere impiegati anche nelle installazioni su
strada, laddove il progettista delle installazioni su strada non
preveda soluzioni alternative per garantire il corretto
funzionamento delle barriere.
Per quanto attiene agli
attenuatori d'urto previsti dall'art. 6 delle istruzioni
tecniche allegate al D.M. 21.6.2004 si fa presente che per
cuspide si intende il punto in cui divergono due traiettorie
percorse nello stesso verso. Sono escluse le cuspidi che si
formano tra due rampe con limite di velocità (inferiore) 40
km/h.
9. CONFORMITÀ DEI DISPOSITIVI DI
RITENUTA NELLE COSTRUZIONI STRADALI E LORO INSTALLAZIONE
L'art. 5 delle istruzioni
tecniche allegate al D.M. 21.6.2004 prevede che:
"Per la produzione di serie delle barriere di sicurezza e degli
altri dispositivi di ritenuta, i materiali ed i componenti
dovranno avere le caratteristiche costruttive descritte nel
progetto del prototipo allegato ai certificati di omologazione,
nei limiti delle tolleranze previste dalle norme vigenti o dal
progettista del dispositivo all'atto della richiesta di
omologazione.
All'atto dell'impiego dei dispositivi di ritenuta nelle
costruzioni stradali, le caratteristiche costitutive dei
materiali impiegati dovranno essere certificate mediante prove
di laboratorio.
Dovranno inoltre essere allegate le corrispondenti
dichiarazioni di conformità dei produttori alle relative
specifiche tecniche di prodotto."
Per quanto riguarda la
conformità alle specifiche del progetto, la norma prescrive che
le tolleranze sulle caratteristiche dei materiali dovranno
essere quelle previste dalle norme vigenti, mentre le tolleranze
geometriche e di altro tipo ammesse dovranno essere definite dal
progettista del dispositivo nel manuale per l'utilizzo e
l'installazione del manufatto.
Il predetto manuale, previsto
dall'art. 7, lettera c), delle istruzioni tecniche allegate al
D.M. 21.6.2004 dovrà essere acquisito prima dell'installazione
del dispositivo.
Le prove sui materiali dovranno
essere sempre allegate alla fornitura dei dispositivi di
ritenuta; saranno certificate dal medesimo costruttore in quanto
provvisto di un sistema di controllo della produzione
certificato ai sensi delle norme della serie UNI EN ISO 9000.
L'articolo 5 del D.M. 21.6.2004
prevede che "alla fine della posa in opera dei dispositivi,
dovrà essere effettuata una verifica in contraddittorio da parte
della ditta installatrice, nella persona del suo Responsabile
Tecnico, e da parte del committente, nella persona del direttore
lavori anche in riferimento ai materiali costituenti il
dispositivo. Tale verifica dovrà risultare da un certificato di
corretta posa in opera sottoscritto dalle parti."
A seguito della avvenuta
dichiarazione di conformità del prodotto da parte del
produttore, la verifica da parte del responsabile tecnico e del
Direttore Lavori consisterà in un controllo della conformità del
prodotto con quanto dichiarato e delle modalità di installazione
con quanto indicato nel progetto dell'installazione stessa e
nelle eventuali prescrizioni aggiuntive effettuate per iscritto
dalla Direzione Lavori e si concretizzerà nel certificato di
corretta posa in opera.
Quanto sopra tenuto conto di
quanto riportato anche nei rapporti di prova e nelle
raccomandazioni ed istruzioni presenti nel manuale per
l'utilizzo e l'installazione del dispositivo di ritenuta.
IL DIRETTORE GENERALE
dott. ing. Sergio Dondolini
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