Consiglio di
stato - Sezione V - Sentenza 1252 del 5 marzo 2012
Assimilabilità
della proroga al rinnovo in caso di identità di “ratio” e a parità di
ogni altra condizione
FATTO e
DIRITTO
1.1.-Con ricorso al TAR
Campania –Napoli, notificato il 20.2.1995 e depositato il 6.3.1995 la
società SPRA impugnava le delibere della Giunta municipale del Comune di
Sant’Anastasia (NA) nn. 292 del 30.3.1994, 665 del 28.7.1994, 98 del
28.10.1994 e 1152 del 29.12.1994, nelle parti in cui era stata disposta
la decurtazione del 10 % dei compensi mensili riconosciuti alla
ricorrente per lo svolgimento –in virtù di reiterate proroghe del
contratto di appalto stipulato, a seguito di gara pubblica, per la
durata di due anni, a decorrere dal 1°.4.1991, e quindi prorogato per un
anno, dal 1°.4.1993 al 31.3.1994, con DGM n. 310 del 30.3.1993– del
servizio di pulizia e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani. La
ricorrente chiedeva al TAR anche di condannare il Comune a restituirle
le decurtazioni effettuate con decorrenza dal 1°.6.1994, con interessi e
rivalutazione. La ricorrente sosteneva che l’anzidetta riduzione del 10
% era stata prevista dall’art. 6 della l. n. 537 del 1993 il quale,
però, si riferiva alle sole rinnovazioni dei contratti e non anche alle
proroghe degli stessi, laddove per rinnovazione deve intendersi la
riproposizione dell’intero contratto “a parità di ogni altra condizione”
e quindi nel rispetto anche del termine di durata originariamente
pattuito. Nella specie, venendo in rilievo mere protrazioni
dell’efficacia del contratto per durate temporalmente limitate, la
fattispecie della decurtazione ex art. 6 cit. non avrebbe dovuto trovare
applicazione. Inoltre, poiché con i DD. LL. nn. 331 del 31.5.1994, 478
del 30.7.1994, 559 del 30.9.1994 e 658 del 30.11.1994 era stata disposta
la sospensione dell’efficacia delle disposizioni di cui all’art. 6 della
l. n. 537/93, la norma non avrebbe potuto riferirsi al rapporto
contrattuale in questione. Di qui la domanda di annullamento “in parte
qua” delle DGM e di condanna del Comune alla restituzione delle
decurtazioni.
1.2.-Con la sentenza n.
565 del 2000 la prima sezione del TAR Campania –Napoli, ritenendo
implicitamente sussistente la propria giurisdizione ha respinto il
gravame rilevando in primo luogo l’indifferenza, ai fini
dell’applicazione del citato art. 6 sulla riduzione del prezzo, tra
proroga e rinnovo contrattuale, dato che la “ratio” della disposizione è
quella di consentire in favore dell’Amministrazione un contenimento
della spesa pubblica per la provvista di beni e servizi. Il TAR ha
affermato che “la “ratio” predetta sussiste, oltre che nel caso di
rinnovo in senso proprio del contratto, anche nell’ipotesi di proroga
dello stesso, a parità di ogni altra condizione. E ciò perché nella
sostanza sia il rinnovo sia la proroga comportano lo stesso risultato
giuridico del prolungamento nel tempo del rapporto contrattuale scaduto,
tanto più quando attraverso varie successive proroghe si ottiene lo
stesso prolungamento che si sarebbe ottenuto con il rinnovo” (il TAR
rammenta che il contratto di appalto con la SPRA è stato prorogato, a
parità di ogni altra condizione, in via continuativa, con i
provvedimenti impugnati, per un anno, dall’aprile del 1994 al marzo del
1995, e pertanto è stata applicata in modo corretto la riduzione del 10
% prevista dal citato art. 6).
Circa l’asserita
violazione dei DD. LL. con i quali era stata disposta la sospensione
dell’efficacia del citato art. 6, norma, questa’ultima, poi abrogata
dall’art. 44 della l. n. 724/94, il Giudice di primo grado ha osservato
che:
-la prima proroga di
quattro mesi –dall’aprile al luglio del 1994- del contratto d’appalto,
con contestuale riduzione del 10 % del prezzo, era stata disposta con la
DGM n. 292 del 30.3.1994, delibera non soggetta al primo dei decreti
–legge, il n. 331 del 31.5.1994, entrato in vigore il 2.6.1994: quindi
la suddetta proroga era stata disposta in modo legittimo;
-le successive DD. GM di
proroga nn. 665/94, 98/94 e 1152/94 “non hanno operato ulteriori
riduzioni del 10 % ma hanno disposto la proroga “sic et simpliciter” del
contratto prorogato, che già conteneva la riduzione operata
legittimamente con la delibera n. 292/94 e quindi per tali delibere è
stata ininfluente l’intervenuta sospensione dell’art. 6 cit. “;
-la ricorrente ha
accettato la riduzione del prezzo del 10 % , in occasione della prima
proroga, “per facta concludentia”, “mediante l’esecuzione del contratto
prorogato, il che ha reso “tamquam non esset” il diniego di accettazione
della riduzione in questione di cui alla nota 25.5.1994, atteso che ai
sensi del (citato) art. 6 l’accettazione della proroga comporta “ipso
jure” la riduzione del 10 % del corrispettivo contrattuale”.
1.3.-Nel proporre appello
contro la sentenza la SPRA (divenuta Nuova SPRA Ambiente in seguito a
mutamento di denominazione sociale e, dal 2001, Fallimento Nuova SPRA
Ambiente), premesso sub I. che la controversia è devoluta alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’art. 6 della l.
n. 537/93, ha formulato quattro motivi di appello (v. pp. da II. a V.
ric. app.) concernenti violazione di norme e princìpi, ribadendo, al p.
VI. , la domanda di condanna del Comune a restituire le decurtazioni
effettuate, oltre agli interessi e alla rivalutazione.
1.4.- Il Comune si è
costituito e, in via preliminare, ha eccepito il difetto di
giurisdizione del Giudice amministrativo, trattandosi di controversia
che attiene alla fase successiva a quella della stipulazione del
contratto. Nel merito la difesa comunale si è soffermata sulla
correttezza della decisione del TAR.
2.1.- In via pregiudiziale
e di rito il Collegio ritiene che si rientri in una ipotesi di
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Nel caso di specie si
controverte infatti in ordine all’applicabilità, o meno, della
disciplina dettata dall'art. 6 della l. n. 537/93, fonte normativa che
regola in modo specifico la materia degli appalti pubblici. In relazione
a tali controversie lo stesso art. 6 della l. n. 537/93, al comma 19,
prevede la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Tra
l’altro, nel caso di specie viene in rilievo l’esercizio di un potere
autoritativo da parte del Comune, sicchè appare indubitabile la
giurisdizione del giudice amministrativo (cfr. Cass. , SS. UU. , n. 9152
del 2009; conf. Cons. St. , sez. V, n. 3994 del 2008, dal p. 5. al p.
16. ) . La questione, poi, se, in concreto, l’art. 6 risulti o meno
applicabile alle ipotesi considerate, non rileva ai fini della
individuazione del giudice competente, trattandosi di questione di
merito che attiene alla fondatezza, o infondatezza, della pretesa fatta
valere nel giudizio.
2.2.-Nel merito,
l’appellante ripropone e approfondisce, nella sostanza, le tesi avanzate
in primo grado, asserendo:
- con il motivo sub II. ,
che rinnovo e proroga del contratto sono fattispecie ben diverse, con
conseguente inapplicabilità, alla vicenda in esame, nella quale il
Comune ha disposto mere proroghe di tre –quattro mesi, del su citato
art. 6, nella parte in cui è prevista una riduzione del 10 % del prezzo
nell’ipotesi di rinnovo del contratto;
- col motivo sub III. ,
che il TAR non ha tenuto conto del fatto che con i dd. ll. nn. 331/94,
478/94, 559/94 e 658/94 era stata disposta la sospensione dell’efficacia
dell’art. 6 della l. n. 537/93, disposizione quest’ultima che, poi, è
stata abrogata dall’art. 44 della l. n. 724/94. L’appellante contesta la
decisione del TAR laddove pone in correlazione un’accettazione “per
facta concludentia” della disposta decurtazione, con l’esecuzione del
contratto prorogato, venendo in rilievo un servizio pubblico che non
poteva essere sospeso od abbandonato. Ad avviso dell’appellante nella
specie difettava l’elemento della accettazione (anche implicita) della
riduzione del prezzo da parte della società, come può ricavarsi dalle
note di opposizione alla riduzione del prezzo inviate dalla SPRA al
Comune. Ciò vale sia per la prima proroga, sia per le proroghe
successive. L’opposizione della società trova conforto nelle
disposizioni dei dd. ll. di sospensione dell’efficacia del citato art.
6, e nella previsione finale di cui all’art. 44 della l. n. 724/94;
- con il motivo sub IV
l’appellante approfondisce l’aspetto –che il TAR non avrebbe tenuto in
debito conto- della sistematica contestazione delle decurtazioni da
parte di SPRA, e della inesistenza di una esplicita volontà della
società di accettare le condizioni imposte dal Comune nel disporre le
proroghe. La proroga è atto contrattuale, che deve essere accettato
dalle parti. Proroghe di imperio non possono ammettersi, non trovando
riscontro nella normativa di riferimento. In particolare, i disposti
atti di “proroga autoritativa”, con decurtazione del prezzo, anch’essa
autoritativa, non trovano sostegno nell’art. 6 della l. n. 537/93. La
società non poteva sottrarsi alle proroghe, per non incorrere nel reato
di interruzione di pubblico servizio;
- col motivo sub V.
l’appellante insiste nell’affermare che l’art. 6 richiede un accordo tra
le parti, accordo che nella specie non è intervenuto. Anzi, la vicenda è
stata caratterizzata da un atteggiamento di non accettazione delle
riduzioni del prezzo da parte della società. La decurtazione del prezzo
è priva di appigli nella normativa di riferimento;
- sub VI. l’appellante ha
chiesto la condanna del Comune alla restituzione delle decurtazioni,
quantificate nella misura complessiva di circa 374 milioni di lire più
IVA, oltre agli accessori, relativamente al periodo 1.4.1994 -31.5.1995
(in primo grado la richiesta di restituzione decorreva dal 1°.6.1994).
Poiché i motivi d’appello
sopra riassunti consistono in un approfondimento delle censure formulate
in primo grado, il Collegio ritiene che sussistano le condizioni per
esaminare dapprima , in modo autonomo, il motivo sub II. , e quindi, in
maniera accorpata e congiunta, i motivi da III. a V. , in quanto
logicamente collegati.
2.2.1.- Sul motivo sub II.
è vero che il rinnovo del contratto differisce dalla proroga: in
sostanza, con la proroga si sposta in avanti il termine di scadenza del
rapporto contrattuale, restando fermo il rimanente contenuto del
contratto, mentre il rinnovo del contratto comporta una nuova
negoziazione con il medesimo soggetto, e si concretizza in un rinnovato
esercizio di autonomia negoziale (cfr. Cons. St. , nn. 3892/10 e
9302/03).
La differenza, genetica e
ontologica, tra i due istituti è incontestabile. Ma non ha valenza
assoluta. E non è questo, infatti, il punto che rileva nella presente
controversia.
Nel caso di specie, come è
stato correttamente puntualizzato dal TAR, con l’art. 6, comma 1, della
l. n. 537/93 – “è vietato il rinnovo tacito dei contratti delle
pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi. Le
pubbliche amministrazioni hanno facoltà, fino al 31 dicembre 1994, di
rinnovare al medesimo contraente, in deroga a quanto disposto dal
presente comma e alle procedure previste dai commi da 2 a 15, contratti
in scadenza per i quali non si applichino le procedure di cui ai commi
da 28 a 38 nel caso in cui sia concordata, a parità di ogni altra
condizione, una riduzione del prezzo pari al 10 per cento rispetto a
quello convenuto nel contratto in scadenza…”- è stato perseguito lo
scopo preminente di contenere la spesa pubblica, in tutti casi nei quali
si è ritenuto, in deroga alla normativa che impone la procedura
concorsuale di evidenza pubblica per la scelta dei contraenti con la P.
A. , di prolungare nel tempo un rapporto contrattuale scaduto. Una cosa
è la distinzione tra proroga e rinnovo, in contesti e a fini diversi da
quello, principale, di riduzione della spesa pubblica, avuto di mira dal
Legislatore con il citato art. 6, e altro è quando la “eadem ratio” del
contenimento della spesa pubblica consente di accostare istituti
–rinnovo e proroga- caratterizzati dall’elemento in comune costituito
dal prolungamento nel tempo di un rapporto contrattuale scaduto, rimasto
per il resto immutato (tranne s’intende che nel prezzo. Sul fatto che il
rinnovo è, in effetti, assimilabile a una proroga tutte le volte in cui
resta fermo il rimanente contenuto del contratto, salva la riduzione del
prezzo, v. Cons. St. , par. nn. 269/97 del 4.3.1997 e 2845/04 del
28.4.2004).
In casi come questi è la
identità di “ratio” tra rinnovo e proroga –“tanto più quando attraverso
varie successive proroghe si ottiene lo stesso prolungamento che si
sarebbe ottenuto con il rinnovo” (v. sent. TAR)- , “a parità di ogni
altra condizione”, che consente di applicare il citato art. 6, nella
parte in cui è prevista la riduzione del prezzo del 10 % rispetto al
prezzo convenuto nel contratto in scadenza, anche a casi che
rientrerebbero, a rigore, tra le proroghe. Detto altrimenti, allo
specifico fine di contenere la spesa pubblica, che l’art. 6 si era
prefisso di raggiungere, rinnovo e proroga ben potevano ritenersi
assimilabili. E lo stesso carattere eccezionale della disposizione in
esame, in quanto derogatoria della normativa che impone la procedura di
evidenza pubblica per la scelta dei soggetti contraenti con la p. a. ,
appare tutt’altro che inconciliabile con una applicazione della
disposizione medesima anche ai casi di proroga, avendo riguardo al
ripetuto scopo di ridurre la spesa per l’acquisto di beni e di servizi,
in vista del quale l’art. 6 venne introdotto nell’Ordinamento.
Va soggiunto come la SPRA,
dal momento in cui le era stato prorogato per quattro mesi il servizio,
vale a dire dal 1°.4.1994 al 31.7.1994, con la DGM n. 292 del 30.3.1994,
non potesse attendibilmente negare di avere concordato con il Comune,
“per facta concludentia”, la riduzione del prezzo del 10 %, non essendo
stata assoggettata ad alcun provvedimento di precettazione a svolgere il
servizio, avendo proseguito in modo spontaneo l’attività in questione e
non potendo, il concordamento della riduzione del prezzo del 10 %,
considerarsi infirmato dalla nota della SPRA in data 25.5.1994
–intervenuta quindi a quadrimestre ampiamente inoltrato- contenente la
non accettazione della riduzione.
Del resto, più in
generale, è vero che il citato art. 6 impiega il verbo “concordare”
(“…nel caso in cui sia concordata, a parità di ogni altra condizione,
una riduzione del prezzo pari al 10 % …”); ma dalla lettura della
disposizione, nel suo complesso, risulta evidente che oggetto di accordo
tra le parti può essere, in via esclusiva, la prosecuzione temporanea
del servizio –e quindi del rapporto contrattuale- alle condizioni
stabilite “ex lege” (o il venire meno del rapporto contrattuale dopo la
sua scadenza). “Tertium non datur”. Il Legislatore non contempla la
possibilità di prolungare il servizio, in deroga alla procedura
concorsuale di evidenza pubblica, non accettando la decurtazione. Si
tratta, del resto, di scelta non illogica che coniuga l’esigenza
preminente, di interesse generale, di contenere la spesa pubblica, con
quella di garantire alla impresa una prosecuzione temporanea del
rapporto senza svantaggi significativi e senza sottoporsi all’ “alea” di
una nuova gara.
Da ciò discende la
reiezione del motivo sub II. .
2.2.2.- Anche i motivi sub
III. , IV. e V. , esaminabili insieme, non possono trovare accoglimento
giacché, come è stato osservato dal TAR con motivazione sintetica ma
puntuale:
-solo la prima proroga era
assoggettata alla disciplina di cui all’art. 6 della l. n. 537/93 e,
correlativamente, non era soggetta al primo della sequela di decreti
–legge sopra ricordati;
-con la seconda, la terza
e la quarta delibera di proroga del servizio la P. A. non ha operato
diminuzioni del prezzo del 10 %, non avendo fatto altro che disporre la
proroga del vigente contratto prorogato, che già conteneva la riduzione
del prezzo stabilito con la DGM n. 292 del 30.3.1994;
-la seconda, terza e
quarta delibera di proroga del servizio, poiché “agganciate” alla prima
proroga, e sprovviste, perciò, della clausola di riduzione del prezzo,
essendo il canone già stato ridotto del 10 % (si vedano le DGC 665 e
1152, in atti) , esulavano dal campo di applicazione del menzionato art.
6 e, pertanto, come è stato rilevato dal TAR, per le delibere suddette è
stata ininfluente la sospensione dell’efficacia dell’art. 6 disposta con
i decreti –legge emanati in sequenza. Appare improprio, inoltre, porsi
il problema della accettazione / non accettazione della proroga, o della
proroga consensuale o autoritativa. Trattandosi di proroghe giustificate
dalla necessità di evitare interruzioni del servizio pregiudizievoli per
l’interesse pubblico (“il servizio non tollera soluzione di continuità”,
si legge nella DGC n. 665/94), le stesse erano consentite sulla base dei
principi generali, per il tempo necessario a espletare la gara (cfr. DGC
n. 1152/94) . Di più : la prorogabilità del servizio e del contratto, in
questo specifico settore di attività, dalla quale consegue l’adempimento
degli obblighi correlativi, sembra rientrare tra i presupposti causali
specifici del contratto “de quo”.
Senza considerare che, per
le ragioni dette sopra, la mancanza di accettazione, anche in via
implicita, visto il carattere di norma imperativa dell’art. 6, avrebbe
imposto il ricorso all’evidenza pubblica e non la prosecuzione del
rapporto con riserva sulla determinazione del “quantum” di
corrispettivo.
In conclusione, l’appello
va respinto e la sentenza del TAR va confermata.
Le spese del grado possono
essere tuttavia compensate, tenuto conto delle peculiarità della
vicenda.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in
sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando
sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Fonte:
Consiglio di Stato - La Giustizia Amministrativa
|