Tar Toscana
Sezione II 3 aprile 2019 n. 491
Concordato con
continuità aziendale e partecipazione a gara di appalto in RTI
Contratti della Pubblica amministrazione –
Esclusione dalla gara - Concordato con continuità aziendale - Non è causa di
esclusione.
Ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. b), del Codice dei
contratti pubblici. non rientra tra le cause di esclusione dalla gara la
procedura di concordato con continuità aziendale cui è sottoposta la società
concorrente
(1).
(1) Ha ricordato il Tar che secondo una recente
interpretazione l’omologazione del concordato chiude la procedura concordataria
a norma dell’art. 181, r.d. n. 267 del 1942; a seguito di tale provvedimento
l’imprenditore ritorna in bonis e, pertanto, non vi è ragione di
limitarne l’attività. L'art. 181 prevede genericamente che "la procedura di
concordato preventivo si chiude... con l'omologazione" senza operare alcuna
distinzione, pertanto, intervenuto il decreto di omologazione del Tribunale
l'impresa non è più "in stato" di concordato né sarebbe più "in corso" la
relativa procedura. Ne segue che non operano i divieti di legge con riferimento
alla partecipazione alle pubbliche gare e neppure sussistono gli obblighi
documentali che sarebbero esigibili limitatamente alle imprese che siano "in
stato" o "in corso" di concordato (Cons.
St., sez. V, 29 maggio 2018, n. 3225).
In senso contrario, è stato stabilito che la
chiusura del concordato la quale, ai sensi dell'art. 181 della legge
fallimentare, fa seguito alla definitività del decreto o della sentenza di
omologazione, pur determinando la cessazione del regime di amministrazione dei
beni previsto, durante il corso della procedura, dall'art. 167 non comporta
(salvo che alla data dell'omologazione il concordato sia stato già interamente
eseguito) l'acquisizione in capo al debitore della piena disponibilità del
proprio patrimonio. Questo infatti resta vincolato all'attuazione degli obblighi
da lui assunti con la proposta omologata, dei quali il Commissario Giudiziale è
tenuto a sorvegliare l'adempimento secondo le modalità stabilite nella sentenza
(o nel decreto) di omologazione. Ne segue che la fase di esecuzione, nella quale
si estrinseca l'adempimento del concordato, non può ritenersi scissa, e come a
sé stante, rispetto alla fase procedimentale che l'ha preceduta (Cass., sez. I,
ord., 10 gennaio 2018, n. 380) e non vi sarebbe quindi ragione per non ritenere
operanti anche in tale fase i divieti di legge con riferimento alla
partecipazione alle pubbliche gare.
Ciò chiarito, ha aggiunto il Tar che la questione
deve essere risolta non indagando gli aspetti civilistici che regolamentano
l’impresa ammessa al concordato preventivo con continuità aziendale, bensì a
partire dal dato testuale normativo.
Le cause di esclusione dalle procedure per
l’affidamento dei contratti pubblici, sotto il profilo (della mancanza) dei
necessari requisiti soggettivi, sono stabilite dall’art. 80 del Codice dei
contratti pubblici. Per quanto rileva nella presente sede, la disposizione di
cui al comma 5, lett. b) del medesimo statuisce che devono essere escluse dalla
partecipazione alle gare d’appalto, tra le altre, le imprese che si trovino in
stato di concordato preventivo “salvo il caso di concordato con continuità
aziendale” e “fermo restando quanto previsto dall’articolo 110” del medesimo
Codice. La norma quindi esclude dal proprio ambito di applicazione e, con ciò,
dal novero delle circostanze espulsive la procedura di concordato con continuità
aziendale.
Si manifesta quindi un contrasto tra questa
disposizione e quella contenuta nella legge fallimentare, secondo cui alle
imprese ammesse al concordato con continuità aziendale è interdetto partecipare
alle gare d’appalto quali mandatarie di un raggruppamento temporaneo di imprese.
Il conflitto tra le norme può essere risolto
secondo il criterio cronologico.
La disposizione della legge fallimentare, come
sopra citato, è venuta alla luce con il d.l. 23 giugno 2012, n. 83, convertito
nella l. 7 agosto 2012, n. 134.
La norma di cui all’art. 80, comma 5, lett. b),
del Codice dei contratti pubblici è invece venuta alla luce con il d.lgs. n. 50
del 2016 e, quindi, successivamente alla prima. Questa pertanto, in base al
criterio cronologico di soluzione dei conflitti tra norme, deve ritenersi
implicitamente abrogata.
La disposizione di cui al citato art. 80, comma 5,
lett. b), d.lgs. n. 50 del 2016 ha innovato rispetto a quanto prevedeva il
previgente d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 che all’art. 38, comma 1, lett. a),
comminava l’esclusione alle imprese che si trovassero in stato di concordato
preventivo, senza effettuare alcuna distinzione. La differenza tra il precedente
e l’attuale Codice dei contratti pubblici va interpretato quale indice della
volontà legislativa di ammettere alle gare per l’affidamento dei contratti
pubblici le imprese che si trovino in concordato preventivo con continuità
aziendale, salva restando la necessità di autorizzazione del giudice delegato
(elemento che non è in discussione nella presente controversia): in tali termini
può essere interpretato il rimando effettuato dal citato articolo 80, comma 5,
lett. b), del Codice dei contratti pubblici al proprio art. 110 il quale, al
comma 3, prevede che “il curatore del fallimento, autorizzato all'esercizio
provvisorio, ovvero l'impresa ammessa al concordato con continuità aziendale, su
autorizzazione del giudice delegato… possono: a) partecipare a procedure di
affidamento di concessioni e appalti di lavori, forniture e servizi ovvero
essere affidatario di subappalto; b) eseguire i contratti già stipulati
dall'impresa fallita o ammessa al concordato con continuità aziendale”.