APPALTI E GARE
CSE
ed appaltatore: rischi e responsabilità penali ai tempi del
Covid-19. Qualche concreta indicazione
Quante volte, nella
realtà quotidiana, ci troviamo dinanzi il politico di turno
che, per ragioni di opportunità personale o di arrivismo,
sollecita gli operatori affinché una determinata opera
giunga a compimento, per mostrarla alla cittadinanza come
Vespasiano tentò di fare con il Colosseo, salvo perire ad
una manciata di settimane dal “collaudo” dell’opera e
vederla inaugurata dal figlio Tito?
E cosa può accadere se, in esito a
direttive non attuate e non attuabili da parte del CSE, un
operaio contrae il Virus sul luogo di lavoro e, in esito,
perde la vita (ovvero riporta comunque un grave danno alla
propria salute, rientrante nella fattispecie delle lesioni
colpose ex art. 590 del c.p.)? Quid juris? A quali
sanzioni penali rischiano di andare incontro tanto il
Coordinatore della Sicurezza in fase di Esecuzione quanto
l’appaltatore, ciascuno per quanto di propria competenza e
responsabilità, nello svolgimento di quegli appalti di opere
di pubblica utilità che il Legislatore d’emergenza non ha
inteso interrompere (si veda “codice Ateco 41”) in
costanza di Coronavirus?
Esempio concreto: CSE di un appalto avente
ad oggetto il rifacimento del lungomare, piuttosto che della
intera fognatura, della S.A. XX, redige un documento
aggiuntivo al PSC, raccomandando all’operatore economico di
adottare tutte le precauzioni imposte dal Protocollo
introdotto dal disciplinare del 14 marzo 2020 sulla
sicurezza sul luogo di lavoro, ivi compreso l’utilizzo delle
mascherine, l’igienizzazione dei lavoratori, ecc.
E’ sufficiente detta disposizione di
ulteriori cautele per essere sicuri di andare esente da
censure penali?
Cosa accade nel caso in cui, nonostante le
disposte cautele e la conseguente predisposizione di
strumenti di presidio per la salute il lavoratore
autonomamente le disattende?
E se l’appaltatore ammette, sua sponte,
di non poter garantire dette misure, cosa succede alla vita
del contratto d’appalto?
Ovvero cosa può avvenire se, alla luce di
detti dilemmatici quesiti, a fronte di un Operatore
Economico che sollecita, formalmente, la sospensione dei
lavori ex art. 107 del Codice dei Contratti Pubblici, la
D.L. omette di agire in tal senso?
2. Disciplina e normativa.
La premessa è doverosa: il protocollo
sottoscritto da sindacati e associazioni di categoria il 14
marzo 2020 fa espresso riferimento al necessario utilizzo di
“mascherina obbligatoria per chi lavora a meno di un
metro di distanza. Nei casi in cui la mansione svolta
imponga di lavorare a meno di un metro di distanza e non
siano possibili altre soluzioni organizzative, è necessario
l’uso delle mascherine e di altri dispositivi di protezione,
come guanti, occhiali, tute, cuffie e camici, conformi alle
disposizioni delle autorità scientifiche e sanitarie”.
Ma quale mascherina?
Il punto n. 6 del Protocollo condiviso di
regolamentazione delle misure per il contrasto e il
contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli
ambienti di lavoro prevede che “l’adozione delle misure
di igiene e dei dispositivi di protezione individuale
indicati nel presente Protocollo di Regolamentazione è
fondamentale e, vista l’attuale situazione di emergenza, è
evidentemente legata alla disponibilità in commercio.
Per questi motivi: a. le mascherine dovranno essere
utilizzate in conformità a quanto previsto dalle
indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità;
b. data la situazione di emergenza, in caso di difficoltà di
approvvigionamento e alla sola finalità di evitare la
diffusione del virus, potranno essere utilizzate mascherine
la cui tipologia corrisponda alle indicazioni dall’autorità
sanitaria; c. è favorita la preparazione da parte
dell’azienda del liquido detergente secondo le indicazioni
dell’OMS”.
Attenzione, dunque, il protocollo sancisce un
viatico decisamente chiaro: le mascherine utilizzabili sono
unicamente quelle riconosciute conformi dall’OMS ovvero
dalla competente Autorità Sanitaria. Trattasi,
specificamente, di quei prodotti sanitari della cui
difficilissima reperibilità sentiamo quotidianamente parlare
al TeleGiornale.
Passando alla analisi della normativa così
come interpretata dalla Giurisprudenza, è bene tenere
presente, per seguire l’esempio sopra menzionato, che in
tema di omicidio colposo quando l’obbligo di impedire
l’evento ricade su più persone (nel caso di specie, il CSE e
il datore di lavoro) le quali debbano intervenire o
intervengano in tempi diversi, sia anche con diversa
competenza e profilo di responsabilità, il nesso di
causalità tra la condotta omissiva o commissiva del titolare
di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del
successivo mancato intervento da parte di un altro soggetto,
parimenti destinatario dell’obbligo di impedire quell’evento,
che verrebbe a configurarsi in tale ipotesi in ragione di un
concorso di cause ex art. 41 del c.p. (Cass. Sez. IV, n.
37992/2012).
Va precisato che tanto il datore di
lavoro-appaltatore quanto il CSE, pur nella larga
attribuzione di responsabilità che la normativa in tema di
sicurezza sui luoghi di lavoro assegna loro, rispondono solo
per gli obblighi giuridici loro specificamente ascrivibili:
le rispettive responsabilità sono tra loro concorrenti e
complementari, congiuntamente finalizzate a garantire il
superiore valore dell’incolumità del lavoratore.
Per tali ragioni appare decisamente
scongiurabile il fenomeno, tipicamente italiano (ma absit
iniuria verbis), dello “scaricabarile” tra le figure
istituzionalmente preposte alla salute dei prestatori
d’opera sui luoghi di lavoro.
Infatti, nel caso di assenza o inadeguatezza
delle famigerate mascherine protettive raccomandate dall’OMS
e conseguente contrazione del virus da parte del lavoratore,
il CSE sarà inesorabilmente chiamato a rispondere, anche in
sede penale, per non aver adeguato il piano di sicurezza in
relazione all’evoluzione dei lavori e non aver vigilato sul
pedissequo rispetto del piano medesimo, vieppiù a fronte di
una fonte epidemiologica dagli effetti notoriamente
diffusivi e devastanti per la salute quale il COVID 19,
anche provvedendo, con effetto immediato, a sospendere i
lavori stante la gravità e l’inescusabile conoscenza
dell’imminenza del pericolo, mentre il datore di lavoro sarà
chiamato a rispondere per non avere adottato tutte le
cautele antinfortunistiche di cui al D.P.R. n.626 del 1994,
come integrato e modificato con il D. Lgs. n. 81/08.
Una curiosità si impone nel dibattito: ma un
CSE ha le competenze tecnico-sanitarie per stabilire se una
mascherina sanitaria, da assegnare al singolo lavoratore, è
conforme alle direttive dell’OMS?
La risposta che affidiamo al lettore che
svolge detto delicato ruolo in seno ad un appalto, poco
conta pubblico o privato che sia, è di contattare, con i
canali telematici più rapidi che la tecnologia consente, la
AUSL di riferimento, facendosi “attestare” l’adeguatezza e
la conformità (o meno) delle mascherine che l’appaltatore,
pur tra le difficoltà note, è riuscito a reperire sul
mercato.
In esito, procedere ad immediato adeguamento
del PSC: non deve trattarsi di un’addenda meramente formale
o di stile, che consenta al CSE di “sentirsi apposto con
la coscienza”, ma di precauzioni sostanziali che tengano
conto dell’evoluzione dei fatti, così come palesatisi,
rispetto all’appalto in corso di esecuzione, e della cui
assunzione reale il CSE dovrà accertarsi nel corso della
prosecuzione dei lavori.
Solo in tal modo, il Coordinatore della
Sicurezza, dimostrando di aver fatto quanto possibile per
adeguare i presìdi di sicurezza alla realtà fenomenica, in
tal modo di aver posto in essere quanto da lui
giuridicamente esigibile, avrà buone chances per
andare esente da responsabilità penali, ovvero di dimostrare
di aver sostanzialmente e diligentemente, ma
soprattutto tempestivamente (essendo il tempo
un fattore determinante a tal fine), adempiuto con
puntualità alla propria attività di controllo, verifica ed
adeguamento dei piani di sicurezza, come imposto dal D. Lgs.
81/2008 e s.m.i. oltre che dal D. Lgs. 106/2009.
Per quanto articolata possa apparire detta
procedura, in tempi di limitatissima possibilità di
movimento, soltanto in tal modo il CSE potrà precostituire
ed adeguare la documentazione in modo idoneo a poter
(eventualmente) sostenere dinanzi al Giudice penale di aver
adempiuto i propri oneri di “verifica” nel modo più
diligente e sollecito possibile.
Altra e più complessa dialettica si porrebbe,
in ogni caso, sul piano dell’apporto causale di eventuale
condotta colposamente commissiva od omissiva da parte del
CSE o del datore di lavoro allo scongiurabile exitus
dovesse derivare al lavoratore, nonostante detti presìdi di
sicurezza, o nel caso in cui le regole di cautela appena
indicate dovessero venire in tutto o in parte disattese dal
CSE o dall’esecutore delle opere.
Incomberebbe sempre sull’accusa l’ineludibile
onere di provare non solo la contrazione del virus, ma che
il lavorante avrebbe contratto detto virus durante
l’esecuzione delle opere, ed a cagione di omessa o inidonea
indicazione o mancata corretta esecuzione delle regole di
cautela.
Resta, in ogni caso, che non è sufficiente un
mero adeguamento, privo di idonei requisiti di sostanza,
del PSC al menzionato protocollo del 14/03/2020 per essere
esonerati da responsabilità penale, ciò, tanto per il CSE,
quanto per l’appaltatore-datore di lavoro nell’adeguamento
del DVR.
Circa i profili di responsabilità che assume
il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione nei
cantieri si esprime, autorevolmente, connotando la propria
giurisprudenza con aspetti ermeneutici improntati a decisa
severità, anche di recente la Suprema Corte di Cassazione,
non mancando di evidenziare che l'obbligo posto a carico del
CSE, ex art. 92 comma 1 lettera f) del D. Lgs. 9/4/2008 n.
81 è di sospendere le lavorazioni in caso di pericolo
oggettivamente grave e imminente, direttamente riscontrato,
fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati
dalle imprese interessate:”In tema di infortuni sul
lavoro, il coordinatore della sicurezza per l'esecuzione dei
lavori è pure titolare di un potere dovere di intervento
diretto, proprio nei casi in cui abbia contezza di gravi
pericoli presenti in cantiere, come avvenuto nel caso di
specie".
Il CSE, infatti, “… "ha una autonoma
funzione di alta vigilanza circa la generale configurazione
delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, ma
non è tenuto anche ad un puntuale controllo, momento per
momento, delle singole attività lavorative, che è invece
demandato ad altre figure operative (datore di lavoro,
dirigente, preposto), salvo l'obbligo, previsto dal citato
art. 92, lett. f), d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, di adeguare
il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei
lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e
imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni
fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle
imprese interessate” (Cfr. C. Cass. Pen. Sezione IV –
Sent. n. 58375/2018).
Detto atteggiamento, decisamente rigido e
“responsabilizzante”, assunto dai Supremi Giudici induce a
ritenere che il comportamento richiesto al CSE debba essere
unicamente quello appena segnalato, ovvero non curarsi di
una correzione meramente formale del PSC, ma procedere ad
operare una realistica e rigorosa verifica circa la
possibilità di garantire concretamente, con elevato grado di
probabilità ed in esito all’adeguamento del Documento, la
sicurezza sul luogo del lavoro durante i periodo di
diffusione del Covid 19.
Ovemai venisse accertata una oggettiva
irreperibilità delle mascherine (o di altro materiale,
sanitario e non, a tutela del lavoratore) atte a garantire
la sicurezza degli operai durante le attività di esecuzione
delle opere, è bene cautelativamente procedere alla
sospensione dell’esecuzione dei lavori, in presenza di una
vis cui resisti non potest non imputabile ad alcuna
delle parti contraenti, ex art. 107 del d. lgs. 50/2016.
Il rischio che sovente ricorre in sede esecutiva è che da un
lato il datore di lavoro fa affidamento sull’assunzione di
responsabilità del CSE tramite l’addenda al PSC, dall’altro
quest’ultimo che, redatta una mera aggiunta formale al Piano
di Sicurezza e Coordinamento, ritenga riversate le relative
responsabilità sull’appaltatore, cosicchè ognuno possa
riferire “io lo avevo detto”.
In realtà, ripercorrendo l’ampio panorama
giurisprudenziale, così non è poiché in tal modo agendo,
entrambi si troverebbero a dover rispondere dell’evento
morte (o lesione) verificatosi in esito alla contrazione del
virus da parte del lavoratore.
3. Ed allora cosa fare?
Lo strumento consigliabile è la
sospensione ex art. 107 D. Lgs. 50/2016.
Al netto di disquisizioni giuridiche che
spesso poco interessano all’operatore economico, il quale
conferisce alla propria attività imprenditoriale un taglio
eminentemente pratico-economico, in assenza di specifiche
ordinanze regionali o di altro genere che impongano ex
lege la sospensione, lo condotta da adottare è di
procedere a pre-costituirsi tutta la documentazione
necessaria per poter dimostrare, nella scongiurata ipotesi
dovesse necessitare, di aver adempiuto ed assolto
correttamente tutti i propri obblighi sanciti dalla legge,
con specifico riferimento ai rigidi dettami ex D. Lgs.
9/4/2008 n. 81.
Occorre, dunque, per non incorrere in
problematiche connesse alla possibilità di quarantena
dell’intero personale operante sul cantiere, con ricadute
anche di ordine economico ben più gravi, procedere ai sensi
dell’art. 107 del Codice degli Appalti e dell’art. 1,
lettere n) ed o) del D.L. n. 6 del 2020 e, ove ricorrente la
necessità, chiedere alla stazione appaltante, e per essa
alle sue figure istituzionali quali il R.U.P. ed il D.L., la
immediata sospensione dei lavori proprio in ragione
dell’impossibilità oggettiva di garantire le condizioni
minime di sicurezza sul luogo di lavoro causa irreperibilità
di idoneo materiale indicato dall’OMS (in tal senso
recependo anche le sollecitazioni dell’A.N.C.E. in seno al
“5° aggiornamento delle indicazioni operative per le imprese
dell’edilizia-Covid 19”, del 25 marzo 2020, pag. 59).
La stessa ANCE evidenzia che “… a fronte
di tali situazioni di tipo oggettivo non sembra residuare in
capo al direttore dei lavori alcuna discrezionalità in senso
stretto, che del resto non sarebbe consona alla funzione di
supervisore tecnico della fase esecutiva”.
Per tornare agli effetti di concreta
indicazione conferiti alla presente nota, segnaliamo che in
un caso recentemente verificatosi, dopo due tentativi
risultati vani con la D.L. ed a fronte della renitenza della
Stazione Appaltante ad assumere concludenti determinazioni,
abbiamo indirizzato l’impresa appaltatrice a rivolgersi al
Prefetto territorialmente competente, n.q. di Autorità
responsabile dell'ordine e della sicurezza pubblica
all’interno dell’intero territorio (fu) provinciale,
ottenendo finalmente, ma soltanto in esito a vivace
interlocuzione, la tanto attesa sospensione ex art. 107 cit.,
senza che la stessa potesse incidere, per i suoi effetti,
sul convenuto cronoprogramma dei lavori, o sulle altre
condizioni di bando o di contratto di appalto (si pensi a
possibili penali dovute a conseguente ritardo nella consegna
dei lavori) .
Medio tempore ed
in caso di indugio della Stazione Appaltante nell’assumere
sollecitamente le conseguenti determinazioni, si potrà
procedere, comunque, ad una sospensione motu proprio
dell’esecuzione dell’appalto, da preannunciare
formalmente in via telematica al R.U.P. ed al D.L.
Sul punto si vorrà considerare che l’art. 91
del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, il c.d. “Decreto Cura
Italia”, recante “Disposizioni in materia ritardi o
inadempimenti contrattuali derivanti dall'attuazione
delle misure di contenimento e di anticipazione del
prezzo in materia di contratti pubblici”, stabilisce che
“Il rispetto delle misure di contenimento di cui
presente decreto e' sempre valutato ai fini
dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli
articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilita' del
debitore, anche relativamente all'applicazione di
eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi
adempimenti”.
Ciò significa che l’annunciata adozione,
anche sollecita e per le vie brevi, delle misure di
contenimento del Covid19 verrà sempre valutata ai fini
dell’esclusione di ogni forma di responsabilità
dell’appaltatore obbligato all’esecuzione delle opere per le
quali è contratto, anche in punto di eventuali decadenze o
penali connesse a ritardati e/o omessi adempimenti.
- E se la Stazione Appaltante (quesito
rivoltoci pochi giorni orsono da un operatore economico)
dovesse, in esito, decidere di procedere a risoluzione
contrattuale in danno dell’appaltatore, ex art. 108 del
Codice degli appalti?
La risposta si impone con vigore nel
rappresentare che, alla luce dei fatti che stanno
stravolgendo la vita dell’intero Paese, il Magistrato
eventualmente adìto si vedrebbe bene dal riconoscere
legittimità ad una risoluzione contrattuale disposta in
ragione della indicata causale, formalmente comunicata alla
Stazione Appaltante in tutte le sue ramificazioni, giungendo
a dichiararne la invalidità e disapplicandola, vieppiù se la
comunicata sospensione si è posta a tutela della salute dei
lavoratori addetti al cantiere, la quale trova diretto
referente nel prioritario ed irrinunciabile, anzi
“fondamentale” diritto alla tutela della salute consacrato
nell’art. 32 della Costituzione, con ovvio e conseguente
onere della Stazione Appaltante di “far rivivere” (rectius:
proseguire) in ogni suo originario effetto, l’appalto, con
conseguente possibilità per l’appaltatore finanche di
apporre tempestive riserve, al momento di sottoscrizione del
verbale di ripresa dei lavori, per il tempo così trascorso.
Per ciò che concerne il C.S.E., invece, si
pone l’onere di non limitarsi ad una mera addenda
formale/documentale al P.S.C., ma procedere ad una concreta,
quanto rigorosa, valutazione circa la l’opportunità e
possibilità o meno di proseguire le lavorazioni, solo
allorquando sia possibile applicare fattivamente, e con
elevato grado di risolutività, le misure di sicurezza
adottate, eventualmente procedendo alla pedissequa verifica
della idoneità di dette misure, tanto più stante la estrema
diffusività del COVID 19.
Nel caso in cui ciò non fosse concretamente
possibile, occorre, senza esitazione, sollecitare, anche in
via telematica, la subitanea sospensione dei lavori.
In tal modo si potrebbero evitare gli strali
dovuti al rischio di incorrere in responsabilità penale.
Rimane ferma la regola aurea che deve
involgere il modus agendi sia delle Stazioni
Appaltanti che degli Operatori Economici, o dei loro
responsabili a fini di sicurezza dei rispettivi cantieri,
ovvero l’applicazione del principio di massimo buon senso,
sia in contrahendi che in executivis non a
caso richiamato in ripetuti arresti Giurisprudenziali, sia
di merito che di legittimità, in tema di buona fede
oggettiva contrattuale ex art. 1375 del c.c.
A cura del Dott. Matteo Macari dello Studio Legale Macari
(www.studiomacari.it)
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